mercoledì 22 novembre 2006

Quei giorni nel sud-est

Mercoledì 15 dicembre 2004
Mihiripenna, Unawatuna, Galle, Sri Lanka
La capanna è sul mare. Incredibile posizione, di fronte alla spiaggia e ad un gruppo di rocce di basalto nerissime. Siamo arrivati il giorno 9 a Colombo ed è già passata una settimana. Dopo aver visto Unawatuna e Mirissa, la soluzione più bella e che ci è piaciuta di più è la capanna di Amal. Irene qui ha conosciuto Harschi, la bambina di una famiglia che vive vicino alla strada. E’ molto bella e molto affettuosa. Il posto, per ora e almeno per qualche anno è bellissimo. I prezzi sono contenuti, si mangia bene ed il mare è cristallino. Ancora per qualche anno perché tra poco il turismo finirà la sua opera, già ora è pieno di europei, anche molti italiani che si stabiliscono qui, un po’ come all’Elba, ma la cosa più grave è che si costruiscono assurdi complessi come in tanta parte del mondo, completamente avulsi dalla realtà che li circonda. E qui lo spazio oltre la strada è molto, molto diverso. Duro e difficile.

Giovedì 30 dicembre 2004
Portoferraio, isola d’Elba
Harschi è rimasta là con tutti gli altri, viva spero, per vivere la sua tragedia. Aspettavano tutti la luna piena perché avrebbe portato finalmente le giornate limpide che quest’anno non volevano arrivare. La luna è arrivata finalmente la notte di Natale e alle 5.00 del mattino risplendeva serena nel cielo sereno sopra le verdi colline di Kandy, almeno così io la vedevo. Dopo poche ore questa splendida poya, che per loro è grande festa, avrebbe portato con sé una delle più grandi catastrofi della storia. Erano giorni, da quando eravamo arrivati il 9 dicembre a Galawella, che regolarmente ogni pomeriggio verso le cinque pioveva; situazione insolita, perché qui a sud-ovest il monsone è presente fino a febbraio e poi comincia il tempo sereno, che quest’anno non voleva iniziare.
Siamo partiti una calda e chiara mattina da Mihiripenna, abbiamo lasciato lì i nostri amici italiani, e un pezzo di cuore per tutta la famiglia di Harschi, Ranga, Amal, e Prianta con le piccole Taruschi e Harusci della quale abbiamo festeggiato il compleanno domenica 19; avevamo vissuto con loro più di 20 giorni, avevamo imparato a conoscerli e ad amarli, ci sentivamo a casa.
Harschi viene nella nostra capanna ogni giorno, presto, verso le otto, non vede l’ora di stare con noi e con Irene, fa colazione con noi e poi via a giocare nella straordinaria piscina che la barriera corallina ha regalato qui a Mihiripenna.
Erano tanti anni che volevamo venire e per un motivo o all’altro avevamo sempre rimandato, erano anni che volevamo costruire un progetto di pace e solideriatà per questa straordinaria terra e bellissima gente. Venerdì 17 siamo andati con Amal a visitare due orfanotrofi situati nell’interno a Kutulampitja (a pochi chilometri da Galle). Il primo oltre che di bambini, quasi 60, traboccava di soldi. Un facoltoso signore austriaco è riuscito a costruire una rete di centri di ospitalità dove i bambini possono vivere fino a 18 anni, studiano e iniziano a imparare un mestiere, alcuni hanno i genitori ma rimangono qui perché la famiglie sono povere.
La cose sono molto diverse nell’altro, quello governativo. Più di 50 bambini, il più piccolo ha appena una settimana ed è stato trovato il giorno prima in una strada periferica di Galle. Quelli molto piccoli sono una ventina, gli altri sono più grandi, fino a 10 anni. Grandi stanze buie dove giocano e dormono. Odori forti di povertà e miseria. Ma loro sorridono ti prendono per mano, ti interrogano con lo sguardo, alcuni piangono. Chiediamo in cingalese -grazie alla presenza di Amal-, cosa possiamo fare, che vorremmo impegnarci insieme a loro per migliorare la condizione dei bambini. Ci rispondono che da oggi non hanno più sapone per lavarli e per lavare i loro vestiti, non possono comprarne perché non hanno più soldi, hanno già esaurito i fondi che il governo assegna loro ogni mese, lì hanno spesi tutti per il cibo, e regolarmente come succede alla fine di ogni mese, non possono più comprare saponi, vestiti, medicine. Siamo andati con Amal nel negozio vicino ed ho pensato: “cavolo ho solo 2.000 rupie”; ma i soldi sono avanzati abbiamo comprato una grande quantità di sapone per panni, sapone per bambini, creme, abbiamo preso tutto quello che c’era nel negozio solo con 15 euro abbiamo risolto il problema per almeno 15 giorni. Una delle donne che lavora lì da 28 anni ci ha detto “It’s a good things”. Ho pensato insieme ad Amal che manderemo regolarmente un po’ di soldi in fondo al mese così lui potrà comprare quello che serve ai bambini. Abbiamo chiesto anche se i bambini vengono adottati e ci hanno risposto che da un paio d’anni hanno sospeso tutte le pratiche perché si sono resi conto che il 90% erano adozioni fasulle e i bambini venivano utilizzati per il commercio degli organi. Un primo contatto positivo, l’inizio, abbiamo sperato di una storia per aiutare i bambini. Qui l’onda furiosa non è arrivata, e sicuramente da quel triste giorni dello tsunami avranno ancora più bisogni di noi.
Qualche giorno dopo siamo andati a casa di Prianta, sua figlia compiva il primo anno; grande festa e lui era orgoglioso di averci come ospiti.
Abbiamo lasciato lì anche alcuni amici italiani, insieme a tutti loro, in quella chiara giornata di sole. La mattina del 23 mi sono svegliato presto ed ho visto sorgere il sole sull’acqua cristallina dell’oceano. Dopo poche ore avremmo dovuto partire, lasciare questo posto magico. E’ venuta Harschi ed abbiamo fatto insieme l’ultimo bagno, ci ha voluto in acqua tutti insieme chiamandoci mama e papa. Li abbiamo lasciati lì, sulla porta del villaggio illuminati dalla luce avvolgente dei tropici, con la promessa di tornare e con la promessa di Harsci che sarebbe venuta con noi per qualche settimana il prossimo anno sulla nostra isola. Ho trattenuto a stento le lacrime quanto ho salutato Amal e lui mi ha detto “ciao amico”. Avremmo voluto restare ancora qualche giorno con loro, ma ormai il programma era fatto e mancavano solo cinque giorni alla partenza per l’Italia.
Il 26 mattina eravamo a Kandy, antica capitale nel centro dell’isola. Verso le otto Ombretta ha avvertito una vibrazione alla porta della finestra, abbiamo pensato ai lavori vicino, ma poi abbiamo sentito tutte e due un chiaro movimento, una vibrazione che è durata alcuni secondi. Molte cose ci sono venute in mente, ma non avremmo mai pensato alla catastrofe.
La tarda mattinata verso le 13.00 sono arrivate le prime notizie che parlavano di alluvione nella costa est con almeno 500 morti, ma piano piano la situazione si andava delineando drammaticamente. Il 28 mattina siamo partiti alla volta di Colombo, e in aeroporto abbiamo rivisto molti volti incontrati al sud, molti italiani e abbiamo vissuto molte storie attraverso i loro racconti. Negli occhi avevamo le spiagge dorate, i luoghi splendidi e i racconti ci dicevamo che non c’erano più.
Ora pensiamo a come essere utili, pensiamo a far venire, attraverso le ambasciate, i governi, le associazioni in Italia, in famiglia, i bambini rimasti soli, almeno per qualche tempo prima che le epidemie facciano altri morti
Li cercheremo ancora, sperando di risentire la loro voce e di riabbracciarli, sperando che abbiano avuto un pizzico di fortuna in più, in questo triste momento di morte.

domenica 19 novembre 2006

Gin Racheli

Un contributo da Sinbad su Gin Racheli... Scoprite chi era (è) costei? Non ho mai avuto la possibilità d'incontrarla di persona. ma sembrava che la conoscessi e la frequentassi da lunghissimo tempo. Gin Racheli viveva a Milano, allorché mi ritrovai in Sicilia, in un luogo in cui aveva speso le sue energie di scrittrice, attenta ed appassionata. Un amore sconfinato per la natura, l'ambiente, il mare, le isole, la sua esistenza. La collana dell'editore Mursia per il quale collaborava, compilando, con certosina pazienza ed infinita curiosità per tutti gli aspetti del luoghi che visitava, s'intitolava Andar per isole, perché, a queste porzioni d'universo, aveva dedicato gran parte della sua vita di studiosa. Il risultato delle sue fatiche fu quello di comporre opere uniche, pietre miliari nella descrizione di questi piccoli mondi, a cui poi rimaneva legata con amore inesauribile, come testimonia il suo girovagare da Pantelleria alle Eolie, dall' Arcipelago Toscano a quello della Maddalena e del Sulcis ed altri itinerari originali e perspicaci riflessioni sul tema dell'insularità contenuti in altri pregevoli volumi. Ogni tanto la sentivo per telefono, perché mi ero impegnato a farle realizzare alcune aspettative di donna di cultura e di esperta di tutela del mare e delle coste. Persona garbata oltre ogni dire, intellettualmente vivace, disponibilissima al dialogo e dalla cordiale, erudita conversazione, da cui ricavavo la sensazione di una padronanza inusitata di storia, biologia, botanica, usi, caratteristiche delle popolazioni, e tutto quanto contribuiva a formare l'elegante mosaico di entità suggestive, sospese tra il cielo e l'acqua, nelle quali si era talmente compenetrata, da apparire, ogni volta, nativa di quella o dell'altra isola, raccontata nei mille particolari interessanti, affascinanti, caratteristici, inediti, dando l'impressione di aver vissuto le stesse esperienze ed emozioni degl'isolani autentici. Speravo d'incontrarla in una delle località abitualmente frequentate nelle sue innumerevoli ricerche, ma non ho fatto in tempo a salutarla, prima del suo congedo terreno. Si accomiatò con discrezione dal suo mondo prediletto, dopo un altro gesto squisito verso di me: l'omaggio dell'ultima edizione di uno dei suoi preziosi libri. Mi rimane il rimpianto di non averle stretto la mano e di poterle esprimere direttamente la gratitudine per il suo insostituibile lavoro, guardandola negli occhi sicuramente celesti.

Storia di Nacikheta

Uddalaka, o Vajashrava, era un brahmano che aderiva al sistema ritualistico dei Veda denominato Karma-kanda, che permette di ottenere, attraverso una perfetta esecuzione della cerimonia del fuoco, molteplici benefici d'ordine mondano, assecondanti il proprio desiderio: figli geniali, una o un consorte affascinante, potere e sovranità, salute e bellezza, ricchezza e successo, cultura e sapere. Una volta decise di impegnarsi nella celebrazione di un grande sacrificio vedico che, fra gli innumerevoli tipi di sacrifici che la religiosità del Karma-kanda descriveva, era alquanto singolare, perchè prevedeva che il sacrificante sacrificasse tutto ciò che gli apparteneva. Il brahmano allora si accinse a radunare legname, capretti ed ingredienti da offrire in sacrificio ai diversi deva, oltre ad assumere altri sacerdoti esperti nella celebrazione dei sacrifici, specializzati ciascuno in un Veda particolare: chi negli inni del Rigveda, chi nelle melodie del Samaveda, chi nelle formule dello Yajurveda e chi infine nelle formule dell ' Atharvaveda. Una volta radunato tutto ciò che gli occorreva e trovati gli altri sacerdoti esperti nella scienza del sacrificio, cominciò ad allestire l'arena deputata alla celebrazione del grande sacrificio. Dopo di che il sacrificio ebbe inizio. Om Indraya namah, Om Varlmaya namah, Om Candraya namah, Om Suryaya namah, Svah Svah Svah. Il brahmano era intento alla recitazione degli inni sanscriti e all ' offerta degli ingredienti nel fuoco sacro. Il cortile della sua dimora era affollato di ritvik, sacerdoti ai quali, secondo il cerimoniale vedico, chi sacrificava doveva elargire una gran quantità di offerte perchè, con la loro presenza, rendevano possibile il sacrificio. Il figlio di questo brahmano, che stava compiendo l'offerta sacrificale recitando i mantra, si chiamava Naciketa; un bimbo di soli nove anni. Si narra che Uddalaka non fosse veramente intenzionato a sacrificare proprio tutto ciò che possedeva, forse per l'attaccamento, non ancora completamente superato, ad alcuni oggetti. Forse fu una svista, ma l'impressione suscitata in Naciketa fu di preoccupazione: vedeva suo padre immerso nel compimento di un sacrificio che prevedeva l’ offerta di tutto ciò che possedeva, ma gli parve che in realtà non stesse offrendo proprio tutto. Il suo sguardo si soffermò sulle mucche, che gli sembrarono alquanto smunte e vecchie. "Hanno bevuto acqua ed ingoiato erba", pensò Naciketa, " Ma non sono più in grado di digerire. Sacrificando questo tipo di animali, che cosa se ne può ottenere in cambio ?" Allora fu assalito dal dubbio che gli ingredienti, i costituenti del sacrificio, non fossero della qualità richiesta da quel particolare tipo di cerimonia del fuoco; perciò si recò direttamente sul luogo dove stava fiammeggiando il fuoco sacro, lui che era previsto rimanesse sulla veranda di casa, guardando da distante quanto avveniva nell'assemblea dei brahmani. In qualche modo invece s'avvicinò all'area in cui si stava svolgendo il grande sacrificio e senza preamboli domandò al padre: "Padre, a quale deva verrò offerto in sacrificio?" Suo padre non disse parola, ma Naciketa, determinato, insiste: "A chi verrò sacrificato?" Il padre 10 ignorò, ma Naciketa, per la terza volta, domandò: "Padre, a chi verrò offerto?" Allora il padre, adirato, rispose: "A Yama". Cadde un silenzio assoluto. Yama è un nome che incute un timore glaciale in India o tra coloro che conoscono la Tradizione; è un nome che non si pronuncia quasi mai, se non durante la celebrazione di riti sacrificali o in circostanze come quella qui descritta, in cui la conoscenza dev'essere trasmessa da una persona all'altra. Il nome di Yama non va mai proferito per uno scopo futile, non sacro. Yama è il deva della morte; è la morte. Naciketa, riflettendo, si rammaricò di aver irritato il padre, il quale sicuramente, pensava il bambino, non aveva detto ciò che veramente desiderava, ma ormai I' aveva detto. Naciketa sapeva bene chi fosse Yama, perchè era nato in una famiglia nella quale era stato educato alla cultura brahmanica, quindi era arya per nascita; (e qui, si badi bene, non intendiamo la nascita in quanto fatto meramente biologico ma come evento da leggersi ed interpretarsi entro l'ottica del samsara. In quella famiglia, con ogni probabilità, erano stati celebrati tutti i riti necessari per avere un figlio di tale qualità. Il padre era un sacerdote, un brahmano, ed il nonno era anch' egli famosissimo per avere elargito cibo consacrato in moltissime occasioni). Naciketa, d'animo nobile ed elevato, volse i suoi pensieri alle parole pronunciate dal padre, un brahmano, nell ' arena del sacrificio, di fronte al fuoco sacro, di fronte ad Agni: "Va' da Yama, ti offro a Yama". Naciketa considerò con grande serietà ciò che suo padre aveva detto. Conscio che suo padre era una persona dharmya, ossia ligio alla Tradizione e alle norme religiose e pienamente consapevole della sfera del sacro, sapeva anche che, l'avesse fatto per scherzo o seriamente, ormai l'aveva offerto a Yama. Per la potenza della formula sacrificale recitata, il bambino si trovò ipso facto sulla soglia della dimora di Yamaraja, gli inferi; ma Yama non c'era. Pur trovandosi sulla soglia del mondo dei dipartiti, la mente di Naciketa era così addestrata alla riflessone, all'analisi, alla meditazione, che egli continuò a seguire il filo dei propri pensieri, domandandosi: "Quali piani terrà in serbo per me Yama? In qual modo diverrò strumento dei suoi progetti? Sono io un pessimo discepolo? No. Sono della migliore qualità? Neppure." Esistono tre categorie di discepoli e di figli, e in questo caso i termini discepolo e figlio sono molto simili. Un discepolo o un figlio di prima qualità conosce il volere del guru o del padre senza che questi lo debba manifestare ; se è di seconda qualità non percepisce il desiderio del guru o del padre ma quando gli chiedono qualcosa, il discepolo è pronto a soddisfarne le richieste. Quando però il guru o il padre, danno un istruzione e il discepolo non la esegue, viene considerato di terza qualità, quasi non più discepolo, quasi non più figlio. In alcuni shastra infatti, il discepolo o figlio di terza categoria, viene paragonato ad un escremento che, pur generato per mezzo dell ' organo con il quale si generano i figli, ne è uscito come un escremento anziché come un figlio o un discepolo. Consapevole di ciò, Naciketa si interrogò: "Sono io di terza qualità? Forse prima non ho capito ciò che mio padre voleva, ma quando mi ha detto: "Va' da Yama, ti offro a Yama", ho ben capito e ora mi trovo qui." Allora entrò in uno stato d'animo piuttosto sereno, considerando anche che era arrivato alla dimora dei dipartiti dopo molti altri che lo avevano preceduto e prima di molti altri che vi sarebbero giunti solo dopo di lui. Immaginò allora di essere di qualità media, sia come figlio che come discepolo. Nel caso suo infatti il padre non era solo il suo padre biologico ma anche il guru (il padre spirituale) perchè, come avveniva e avviene ancor oggi, negli antichi gotra brahmanici spesso è il padre ad iniziare il figlio alla Scienza Sacra. Riflettendo e meditando sul significato della vita e della morte, passarono tre giorni. E per tre giorni Naciketa non vide nessuno. Rimaneva sempre sulla soglia della dimora di Yama, ma costui non c'era. Per ragioni che sicuramente trascendono le nostre capacità di comprensione, per tre giorni Yamaraja rimase assente. La sua dimora era vuota. C'erano la moglie, i servitori, i ministri del regno e altre centinaia di migliaia di persone, ma di Yama non v'era la benchè minima traccia. Naciketa, anziché venire ricevuto in maniera adeguata, fu trascurato: non gli furono offerti ne cibo, nè bevande, nè un giaciglio sul quale riposare. Dal cielo si udì allora una voce che ammonì Yama: "Yama, c'è un brahmano sulla soglia della tua dimora e tu non ti sei ancora preso cura di lui. Sai cosa spetta a chi, ricevendo un ospite di tanto riguardo, lo trascura?" L 'ospite è considerato Narayana, Dio: Ittiti-Brahmana Narayana. All'ospite bramano o al viandante va offerta subito dell'acqua perché si disseti e faccia le abluzioni. Questo è il primo principio d'ospitalità, nella tradizione del dharma, considerata una delle prime qualità di una persona evoluta. Bisogna offrire ospitalità con qualità perchè l'accoglienza di un saggio o di un altro ospite può rivelarsi un'arma a doppio taglio: se l'ospite viene ben curato, ben trattato e riverito, ciò apre la strada della liberazione; se invece viene mal trattato, trascurato o addirittura offeso, ciò diventa distruttivo come i. fuoco; Nel sacrificio vedico il fuoco può aprire la via ai mondi delle delizie, può generare la felicità terrestre e celeste ma, per lia disattenzione, può bruciare anche la casa del brahmano. A questo punto Yama immediatamente apparve di fronte a Naciketa, con aria di scusa, desideroso di espiare la colpa di avere disatteso per tre giorni e tre notti Naciketa che, nonostante di soli nove anni, era stato preannunciato da una voce incorporea come saggio brahmano. Yama pensò che Naciketa fosse stato trascurato per disposizione divina, perchè Yama non trascura nessuno, neanche i criminali, dei quali si prende cura con equanimità. Yama infatti viene detto anche Dharmaraja, re del Dharma, Signore del Dharma o personificazione del Dharma e della morte. Nella Tradizione vedico-vaisnava, la morte è infatti vista come giustizia personificata. E poichè il termine dharma traduce anche i concetti di giustizia e religiosità Yama non è solo la morte ma anche la giustizia e religiosità personificate, oltre ad essere uno dei dodici grandi saggi, i mahajana . Ma proprio in qualità di Supremo giudice, cioè di colui che conosce il Dharma meglio di chiunque altro nel mondo materiale, sentì di aver commesso una grave offesa verso il bmbino-bramano. Per questo gli offrì tre doni: "Mi dispiace che tu sia stato trascurato per tanti giorni. La colpa è mia e vorrei poterla espiare: permettimi di offrirti tre doni, che sarai tu stesso a scegliere." Accettate le scuse e l'offerta di Yama, Naciketa come primo dono chiese: "Concedimi di ritornare a casa, ma a condizione che mio padre mi conceda il perdono e che nutra per me profondo affetto, e a condizione che non si spaventi quando mi vedrà tornare." I dipartiti di solito tornano nei luoghi in cui ebbero vissuto nella loro vita mortale, ma in una forma spettrale, che terrorizza parenti e amici, anzichè soddisfarli e renderli felici; perciò la prima assicurazione che il bambino saggio chiese fu che il padre non si spaventasse, ma che, al contrario, l'accogliesse con cuore aperto, con affetto. "E sia" disse Yamaraja "farai ritorno alla dimora di tuo padre." Yamaraja si convinse di poter ripagare presto il proprio debito, preservando la sua fama di "senza macchia " con questi tre doni, con i quali mondava l'errore commesso disattendendo un ospite. Concesse dunque la prima grazia con grande piacere. Era soddisfatto di sdebitarsi, perchè effettivamente aveva mancato di rispetto avendo tenuto sulla soglia di casa questo illustre ospite, fra l'altro offerto in sacrificio. Naciketa infatti non era giunto nella dimora di Yama per il karma di sue attività colpevoli ma in quanto "oggetto consacrato", quindi spinto dalla forza scaturita dal sacrificio (yajna) eseguito dal padre e dagli altri sacerdoti. Yama fu molto soddisfatto di corrispondere questo dono al bambino brahmano, e disse: "Bene, ora il secondo dono, il primo ti è già stato concesso. Tuo padre sarà felice, ti abbraccerà, dormirà sonni tranquilli; sarà soddisfatto di rivederti, ti accetterà con grandissimo affetto e sarà completamente in pace con te. Avanti, procedi con il secondo dono, chiedimi." Naciketa allora cautamente cominciò a dire: "Io so che esistono dei mondi nei quali la vita è estremamente I piacevole, nei quali delle cinque fasi dell'esistenza incarnata: nascita, fanciullezza, gioventù, vecchiaia e morte, non si conoscono nè la vecchiaia nè la morte. Io so che tu non hai il potere di estendere il tuo dominio su quei mondi". E mentre poneva la domanda, mentre descriveva le caratteristiche del dono che avrebbe desiderato ricevere, poneva anche particolare attenzione alle impressioni che suscitava, parola dopo parola, nell ' animo di Yama. "E so anche che i brahmani raggiungono quei mondi attraverso il compimento di un particolare sacrificio: la cerimonia del fuoco sacro. Io ti chiedo di rivelarmi il segreto, l'arcano, il mistero di questa cerimonia del fuoco, di questo atto sacrificale che libera dal tuo dominio."Yama, dopo qualche istante di riflessione, rispose sorprendentemente che anche lui, nel passato, per ottenere la propria posizione di amministratore della giustizia aveva usufruito degli effetti della cerimonia del fuoco sacrificale. Dopo di chè proseguì: "Bene, ti inizierò alla dottrina segreta dei tre fuochi , i quali sono tre sacrifici che, eseguiti uno dopo l'altro, ti permetteranno di trasferirti sui pianeti celesti." Dopo che Naciketa fu convenientemente ammaestrato, Yama aggiunse: "Ti concedo un ulteriore dono: poichè questi tre fuochi li sto consegnando a te per primo in questo ciclo di umanità, d' ora innanzi si chiameranno Trinaciketa ." Tutt'oggi in numerose opere della Tradizione (Smrti) e della Rivelazione (Shruti) ritroviamo questo triplice sacrificio del fuoco chiamato Trinaciketa. Si fa risalire la denominazione di questo atto sacrificale a quanto accaduto fra Yama e Naciketa, di cui stiamo narrando. In realtà Yama sapeva bene che i deva, abitanti dei pianeti celesti, non sono veramente immortali e, come dedurremo dal terzo dono richiesto, anche Naciketa lo sapeva. Benchè fosse consapevole che col primo e col secondo dono non avrebbe ottenuto l'immortalità, aveva chiesto di tornare sulla Terra, un pianeta mediano, e di lì salire sul piano più elevato del sistema planetario, sui pianeti Svarga. Nella Katha Upanishad è testualmente ed esplicitamente affermato che il tipo di amrita (immortalità) concessa a Naciketa col secondo dono in realtà non equivale all'amrita della liberazione vera e propria, pur essendo una vita estremamente lunga, in cui le morti e le rinascite non si susseguono al ritmo incalzante di quelle umane ma coprono iati di tempo straordinariamente lunghi, tali da apparire come immortali anche a coloro che vivono cicli lunghissimi di vita. Infatti, non essendoci malattie e morte- si potrebbe azzardare: "Perchè non diciamo che i deva sono immortali? Se abbiamo detto che sui pianeti Svarga esistono soltanto le prime tre fasi dell ' esistenza: nascita, fanciullezza e giovinezza, allora perchè diciamo che non sono veramente immortali?" E' vero che come deva non muoiono, ma muoiono poi da umani: quando si sono esauriti i punya, i risultati meritori delle loro attività precedenti, questi esseri ricadono infatti di nuovo sui pianeti mediani, terrestri (bhuh), o persino su quelli inferiori; di solito però accade che dai pianeti celesti ricadano sui pianeti mediani come la Terra. Naciketa in realtà stava solo accortamente avvicinandosi alla richiesta del terzo ed ultimo dono. Yama, dal canto suo si sentiva profondamente felice perchè aveva appena concesso il secondo dono con magnanimità ed aveva addirittura aggiunto che lui stesso si era guadagnato il suo alto incarico eseguendo i riti legati a questi tre fuochi, che egli stesso aveva appena definito Trinaciketa. Yamaraja aveva quasi ripagato il debito, aveva già soddisfatto due terzi delle disponibilità concesse. Quale sarebbe stato il terzo dono? Con il secondo Naciketa aveva avanzato una richiesta di qualità decisamente superiore a quella del primo; e nel formulare la terza richiesta cominciò: "Ho sentito parlare della morte. Alcuni dicono che quando uno è morto scompare, mentre altri dicono che quando uno è morto ricompare in un'altra dimensione. Chi muore scompare; chi muore compare in un'altra dimensione. Queste sono le due opinioni più diffuse fra gli uomini. Io da te voglio conoscere il mistero della morte, voglio sapere la verità, tutta la verità sulla morte. Ciò mi serve per formulare bene la richiesta del terzo dono, perchè io desidero l'immortalità, quella vera, quella al di là del tuo dominio. Io voglio diventare immortale, non come i deva che alla fine, quando si distruggono i mondi, anche loro sono soggetti alla dissoluzione. Io voglio diventare immortale. Voglio che tu mi riveli il segreto dell'immortalità." Yama a questo punto apparve visibilmente contrariato dalla domanda che gli era stata posta, e cercò di sviare il bambino lusingandolo con altre proposte, per cui gli rispose: "Questo no. Chiedimi qualunque altra cosa, ma dimentica ciò che mi hai appena chiesto. Dimenticalo, perchè immortali non lo sono nemmeno i cosiddetti immortali. Si chiamano immortali ma in realtà non lo sono. Vengono definiti così perchè vivono quanto dura la manifestazione del loro mondo: nascono con quei mondi e con quei mondi si dissolvono. Ecco perchè vengono definiti immortali." Col termine 'immortali' si vuoI dare l'impressione di una vita spropositatamente lunga, tale che agli occhi degli umani i deva appaiono come fossero immortali, come gli umani agli occhi di una farfalla. Le farfalle di solito vivono dieci, quindici o venti giorni, quindi sarebbe difficile far loro intendere appieno la realtà di una vita che duri cento anni: meglio dire che gli umani sono immortali. Ma gli umani immortali non sono; e nemmeno i deva sono immortali. Naciketa l'aveva capito e non desiderava diventare solo un deva, desiderava diventare immortale. Questa fu dunque la sua terza richiesta. Yama tentò di scoraggiarlo in tutte le maniere per cui rincarando l'offerta, disse: "Non mi infastidire più con questa domanda. Di grazia, scegli fra tutto quello che ti posso offrire". Yama giunse a proporre a Naciketa di scegliere diversi cicli di esistenza, promettendogli che glieli avrebbe concessi. "Ma non l'immortalità; di questo non far parola. Perchè mi tormenti?" Intanto andava delineandosi con sempre maggior precisione la saggezza di Naciketa, per nulla attratto dai doni offerti da Yama. Questi però ancora rincarando disse: "Ti posso dare carrozze bellissime, meravigliose fanciulle, posso farti vivere il numero di anni che desideri, posso metterti in grado di estendere il tuo dominio per ogni dove, ti darò i pianeti più alti, i più elevati; potrai estendere il tuo dominio, ma della morte non venga fatta parola alcuna. I grandi deva, le grandi personalità che governano l'universo e le sue ferree leggi, incontrano grandi difficoltà nel capire questo fatto. E' così inafferrabile e così controverso che è meglio non fame parola. Sii soddisfatto con quel che ti ho offerto." E continuò ad offrire beni mondani a Naciketa, affinchè si ritenesse pienamente soddisfatto: "Ti darò un regno tanto vasto che nemmeno potrai conoscerne i confini, ti darò potere e sovranità su tutti, ti darò cantori dalla voce soave, destrieri alati, donne bellissime, affascinanti. .." Dopo avergli offerto svariati beni d' ordine mondano e varie fonti di piacere, Yama si scoraggiò profondamente perchè, osservando il viso di Naciketa, si rese conto che non era in grado di esercitare nessun tipo di influenza su di lui; infatti Naciketa, appena potè replicò: "Tieniti pure cocchi e destrieri; tieniti pure le belle fanciulle, i canti e le danze; tieniti pure quelle belle fanciulle che alla fine consumano il vigore, non lasciando altra possibilità che quella di cadere in tuo dominio. Tutte queste cose mi distrarrebbero. Ciò che tu mi offri consumerebbe vanamente il mio tempo. Non sono interessato alle ricchezze. Solo uno stolto si lascerebbe abbagliare dal piacere dei sensi, dalle belle fanciulle, dalle ricchezze, da ciò che è perituro ed effimero. Chi mai, se è saggio, trovandosi in una condizione di degrado e tristezza, destinato ad invecchiare e morire, mentre sa che esistono coloro che nè invecchiano nè muoiono e li ha contemplati, pensando ai fugaci piaceri della bellezza e dell'amore chi mai si compiacerebbe di una vita lunghissima? Chi mai, se è saggio? Il saggio antepone il bene al piacere. E' lo sciocco che preferisce il piacere. Gli stolti restano abbagliati dalle gioie effimere del piacere dei sensi mentre i saggi cercano di conseguire un'esistenza di eterna beatitudine. lo non voglio distrarmi, non voglio impegnarmi in attività che non siano in grado di garantirmi la libertà dalla morte perchè quando mi ritroverò nel mezzo di attività, pur piacevoli che siano, d'un tratto arriverai tu e dirai: 'Ora basta. ' Chi è saggio aspira all'immortalità, aspira a vivere la beatitudine eternamente. Hai promesso tre doni: ora, se intendi mantenere la tua promessa, di grazia, svelami il mistero della morte. " Il dialogo fra Yama e Naciketa, quello vero, spirituale, sul piano metafisico, ebbe inizio in quel preciso istante. Prima altro non fu se non una sorta di negoziazione di beni materiali, che potevano sì e no garantire la felicità sulla Terra o al massimo sui mondi celesti. Naciketa mostrò le caratteristiche tipiche del brahmacari, del saggio, dello spiritualista, che è completamente disinteressato a benefici effimeri. E Yama dovette riconoscere che, nonostante avesse un corpo da bambino, di fronte a lui si trovava una grande personalità, un grande saggio. E come tale lo trattò. Infatti Yama cambiò completamente tono, usò un altro linguaggio, altre parole, quasi un'altra costruzione verbale, e gli disse: "Bene, .mi rendo conto che tu sei un' anima speciale, capisco che hai tutte le qualificazioni per diventare un sadhaka ( colui che segue la disciplina), un adhikari ( colui che ne ha la competenza), una persona determinata a fare solo quel che va fatto e a non concedersi nessuna distrazione. Queste sono le uniche, le sole caratteristiche e la sola condizione in base alle quali io posso effettivamente rivelarti la scienza sacra della liberazione." E cominciò a spiegare. Sappi che l’atman è il padrone del carro e che il corpo è il carro. Sappi che la ragione è l’auriga e la mente le redini. I saggi chiamano cavalli i sensi, gli oggetti dei sensi sono l'arena,la personalità condizionata composta di anima, di sensi e di mente la chiamano il fruitore. Colui che non possiede la ragione e non ha mai la mente ben controllata, costui ha sensi indocili, come un auriga che abbia cavalli cattivi. Ma colui che possiede la ragione e ha la mente sempre concentrata, costui ha sensi docili, come un auriga che ha cavalli buoni. Colui che è privo di ragione, senza criterio, sempre impuro, costui non giunge alla sede suprema ma ricade nel ciclo delle esistenze. Ma colui che è dotato di ragione e di criterio ed è sempre puro, giunge a quella sede da cui non più si ritorna alla vita. L 'uomo che ha come auriga la ragione e come redini la mente, costui giunge al termine del cammino, alla sede altissima di Vishnu. Superiori ai sensi sono infatti gli oggetti che determinano le sensazioni, superiore agli oggetti è la mente, superiore alla mente è la ragione, superiore alla ragione è il grande atman (individuale). Superiore al grande atman è l'elemento primordiale non evoluto, e al non evoluto superiore è il Brahman, superiore al Brahman non v 'è nulla: esso è lo scopo, esso è il rifugio supremo. Nascosto in tutte le creature, questo Spirito non si palesa, ma si fa percepire da coloro che acutamente indagano con sottile, alta intelligenza. Il saggio soggioghi parola e mente ; soggioghi poi la mente facendola rientrare nella ragione; soggioghi la ragione facendola rientrare nel sé, poi nell’atman quieto, o Naciketa. (tratto dal libro Cosmogonia Vedico - Puranica di Marco Ferrini)

Shiva e il Candala

Nell'opera "L'Induismo Vivente", di Jean Herbert, viene riportato il caso emblematico di Nanda, un giovane fuoricasta nato nel XIV sec. nel distretto di Tanjore, il quale, non solo venne riconosciuto come proprio guru dal maestro brahmano del villaggio, ma, giunto a Cidambaram, dove Siva danza eternamente il tandava, venne ammesso nel sancta sanctorum dai 2.999 brahmani (Siva era il 3.000mo) preposti al servizio del tempio e investito del cordone brahmanico da Mahadeva stesso. "Questa è la storia - conclude J. Herbert - del santo paria Nanda, che le genti del paese non smettono tuttora di raccontare e che fa scendere le lacrime dai loro occhi". Celebre è pure l'incontro, in uno stretto vicolo di Kasi, di Sri Sankara con un candala circondato da quattro cani; allorché il grande acarya ingiunse all'intoccabile di andarsene, questi rispose: “comandi di spostarsi a questo corpo fatto di cibo dal tuo corpo fatto di cibo, o alla coscienza ch'è in esso dalla tua coscienza? Fatti di cibo sono entrambi i nostri corpi, non c'è nulla da accettare o rifiutare in essi. Come puoi considerare il tuo più puro del mio? Se invece ti riferisci alla coscienza, essa è una soltanto, priva d'attaccamento, pura, eterna, imperitura, senza distinzioni o differenze. Egualmente si riflette lo splendore del sole nelle purificatrici acque del Gange o in un vaso colmo d'urina; dov'è dunque la differenza tra la coscienza di un brahmano e quella di un candala?". Dopo una pausa di silenzio, Sankara, stupendo il proprio seguito, si prosternò ai piedi dell'intoccabile e proferì le memorabili strofe del Manisapancaka: "In verità io sono il soggetto veggente e non l'oggetto veduto. Chi abbia questa ferma convinzione è mio maestro, sia egli un candala o un bramano, nato due volte". Non appena Sankara ebbe pronunciato tali parole, il candala si trasformò in Siva, signore di Kasi, e i cani nei quattro Veda eterni.

La storia di Shakuntala

Re Janamejaya disse: "Brahmana, ho ascoltato da te una descrizione completa di come i deva, i demoni ed i Rakshasa, insieme ai Gandharva e alle Apsara, discesero su questa Terra. Adesso, o erudito, desidero sentire dire da te, alla presenza di tutti i santi saggi, la storia della dinastia Kuru sin dal suo inizio".Shri Vaishampayana cominciò a narrare: "Un eroe di nome Dushyanta contribuì a fondare l'antica dinastia Paurava; il suo regno, nobile Bharata, si estendeva fino ai quattro angoli della Terra. Dominando su tutto il pianeta questo capo degli uomini realizzò un'indiscutibile supremazia su ogni continente. Dushyanta, devastatore dei nemici, ebbe dunque la sovranità su tutte le nazioni, fossero esse sotto il dominio degli ignoranti mleccha, dei guerrieri della foresta o dei civili seguaci del varnashrama, perchè governò su ogni Terra circondata da mari ricchi di pietre preziose. Nel periodo in cui governava Dushyanta la Terra era molto ricca e generosa, tanto che la gente non doveva faticare per arare o scavare miniere. Con Dushyanta come re non c' era una sola persona malvagia e gli uomini, senza essere spinti dalla lussuria, generavano figli di animo nobile. Quando lui era il sovrano, tigre fra gli uomini, il popolo, felice di servire, era lieto e virtuoso, ed aumentava così la propria fortunata prosperità. Figlio mio, quando lui era il signore del mondo non esisteva la paura dei ladri, nè l 'umiliante timore della fame o delle malattie che minano la salute. Insegnanti, governanti, mercanti, agricoltori ed operai, erano tutti contenti di adempiere i propri doveri perchè capivano che il loro lavoro era un' offerta a Dio, nè bramavano le proprietà dei loro vicini. Tutti potevano così vivere senza l 'umiliazione della paura. Le piogge scendevano nella giusta stagione, il cibo e i cereali erano abbondanti e il pianeta era ricco di gioielli e di gemme. Di ogni risorsa c' era abbondanza. Dushyanta era un guerriero di straordinaria potenza; il suo giovane corpo sembrava composto di fulmini e con le braccia poteva trascinare la montagna Mandara con tutte le sue foreste e i suoi boschi. Era veramente infallibile nei combattimenti con l' arco, in quelli con la mazza e con la spada ed anche quando combatteva dal dorso di un elefante o di un cavallo. Quanto a forza, era come un secondo Vishnu; quanto a splendore era come il Sole, ed era inoltre irremovibile come l' oceano e tollerante come la terra. Sotto il suo governo il popolo gioiva perche egli aveva portato la felicità e la pace sul pianeta; il re visse perciò in una società evoluta, dove ognuno dava la più assoluta precedenza ai principi spirituali e alla virtù". Shri Vaishampayana continuò: "Accadde che una volta quel re dalle forti braccia andò a caccia in una fitta foresta, accompagnato da un ' imponente formazione di truppa e di veicoli militari, circondato da centinaia di cavalieri e di elefanti. C'erano centinaia di guerrieri armati di spada e di lancia, di mazze e di clavi, altri brandivano giavellotti e fiocine e lo proteggevano tutt'intorno. Questi guerrieri ruggivano come leoni e le loro grida si sommavano al tumultuoso suono delle conchiglie, al rullare dei tamburi, allo sferragliare delle ruote dei carri, al barrire degli elefanti da battaglia, all' orgoglioso nitrire dei cavalli da combattimento, alle conversazioni eccitate degli uomini e ai rumori secchi delle armi brandite dai guerrieri; un gioioso tumulto si levava mentre il monarca incedeva maestosamente. Dai giardini pensili dei bei palazzi le signore della capitale guardavano quel sovrano eroico le cui gesta gli avevano procurato gloria, affascinate dal suo splendore e dalla sua schietta bellezza. Egli, al pari di Indra, abbatteva chiunque recasse danno ai cittadini ed era capace di immobilizzare perfino possenti elefanti in corsa. Le signore dell' aristocrazia pensavano che fosse un secondo Indra con la folgore in pugno e dicevano l 'una all'altra: "Questo monarca è come una tigre fra gli uomini, il suo coraggio in battaglia è sorprendente. Coloro che oseranno anche solo pensare di farci del male si scontreranno con la forza delle sue braccia e cesseranno di esistere". Così parlando, le donne lodavano il re con affetto e facevano cadere piogge di fiori sulla sua testa. Mentre da ogni parte i brahmana eruditi glorificavano gioiosamente il suo governo giusto con inni poetici, Dushyanta si inoltrò nella foresta per una partita di caccia. La gente della città e delle campagne lo seguì a lungo finche il re li salutò congedandoli ed essi tornarono alle loro case. Così come il Signore, Vishnu, cavalca Garuda, quel monarca della terra sfrecciava sul suo carro spandendo per il Cielo e la Terra suoni minacciosi. Il saggio Dushyanta raggiunse una foresta che somigliava ai boschi Nandana dei pianeti paradisiaci, ricca di meravigliosi cespugli arka, di bilva e di alberi khadira, fitta di alberi dai frutti squisiti come kapittha e dhava. Era una foresta molto vasta, con alcuni altipiani che si estendevano per molte decine di chilometri, sovrastando un terreno scosceso e roccioso. Nonostante non vi fossero tracce di uomini e di acque, la foresta era piena di cervi e di molti animali selvatici e pericolosi. Con i suoi servitori, con i soldati e con gli animali, Dushyanta, simile ad una tigre, portò la devastazione in quella foresta, uccidendo molte bestie feroci. Abbattè molte tigri che via via si trovarono alla portata di tiro del suo arco, ed esse caddero trafitte dalle sue frecce mortali. Quel toro fra gli uomini abbatte dunque alcuni animali colpendoli a distanza con le frecce, mentre le belve che gli si avventavano contro le uccideva con un solo colpo di spada. Infilzò con la lancia anche alcune grandi antilopi maschio. Quel monarca era il più forte degli uomini; sapeva come far roteare la mazza in combattimento e si muoveva per la foresta animato da smisurato coraggio. Con giavellotti, frecce, mazze, clavi e lance, andava uccidendo qua e là animali feroci della foresta e uccelli predatori. Insieme ai suoi uomini, guerrieri appassionati al combattimento, il re, meravigliosamente forte, devastò quella foresta grande e selvaggia, tanto che le bestie più grandi l' abbandonarono. Gruppi di animali disperati, lamentandosi senza sosta, si allontanarono in branchi i cui capi erano stati uccisi. Già indeboliti per la mancanza d' acqua, arrivavano ai fiumi che erano in secca e, con il cuore sfinito per lo sforzo, cadevano svenuti. Tormentati dalla fame e dalla sete erano crollati esausti per finire subito divorati dai guerrieri affamati. Alcuni di loro mangiarono questi animali crudi, altri si diedero il tempo di farli a pezzi e di cucinare le loro carni. Molti elefanti possenti ed impazziti, feriti dalle armi, arricciavano la proboscide e fuggivano veloci in preda alla paura. Questi elefanti, nobili e selvaggi, che perdevano urina, escrementi e sangue, nella fuga calpestarono molti guerrieri. La foresta, coperta da una pioggia di frecce lanciate da quel nugolo di soldati possenti, alla fine risultò popolata solo da bufali ed altre creature inoffensive, perché il re aveva eliminato le grandi bestie pericolose". Shri Vaishampayana continuò : Nei tempi antichi la terra era coperta da fitte foreste dove gli animali selvatici proliferavano. Il Dharma dei re prevedeva la caccia al fine di mantenere l'equilibrio ambientale cacciando animali feroci e quelle specie di animali che non avrebbero permesso all'uomo di coltivare e raccogliere il cibo che gli era necessario. Contemporaneamente i re sperimentavano vari tipi di armi che altrimenti, nel momento del bisogno, non sarebbero state utilizzabili per la protezione delle categorie sociali più deboli: brahmana, vecchi, donne e bambini. "Dopo aver abbattuto migliaia di belve gigantesche il re, con il suo seguito e con gli animali, fece per proseguire la caccia in un ' altra foresta. Ma la fame e la sete divennero un problema perché, raggiunta la fine della foresta, egli si trovò di fronte ad un grande deserto. Il re, dotato di straordinario vigore e di un fedele esercito, attraversò quella terra arida per arrivare ad un' altra grande foresta in cui vi erano molti eremi straordinariamente belli. La foresta era così meravigliosa che la mente del re fu sopraffatta dalla gioia. Commosso, aveva gli occhi che brillavano di felicità. Una fresca brezza alitava tutt'intorno; a profusione alberi fioriti crescevano rigogliosi e i grandi ubertosi prati erano trapunti dai cinguettii melodiosi degli uccelli che vi si libravano in volo. Circondavano quella vasta terra boschiva alberi secolari i cui lunghi rami donavano ombra rinfrescante. Sui cespugli fioriti ronzavano indaffarati i calabroni a sei zampe e una squisita bellezza permeava tutto l' ambiente. In questa foresta non c' era un solo albero che non desse frutti o fiori, non una pianta che avesse spine, nessuna che non fosse invasa da gioiosi calabroni. I fiori sbocciavano sugli alberi in tutte le stagioni e i prati erano grandi, verdi e rigogliosi. Gli uccelli riempivano il cielo con i loro cinguettii ed i frutti ornavano ogni angolo della foresta. Il grande arciere non poté fare ameno di entrare in quella foresta così straordinariamente incantevole. Come per dargli il benvenuto il vento agitò gli alberi fioriti che ripetutamente fecero cadere una pioggia di fiori profumati. Quegli alberi gloriosi, ricoperti con l' ornamento di fiori variopinti, vibravano al dolce e melodioso canto degli uccelli svettando verso il cielo con gioia. Fra i loro rami, leggermente i piegati dal peso dei fiori sbocciati, gli uccelli cinguettavano allegramente e le api lasciavano sentire un dolce ronzio. Il potente re contemplava la delicata arte della foresta, per ogni dove adorna di cascate di fiori che si intrecciavano con piante rampicanti avvolte a capanne naturali: una delizia per la mente. Vedendo tutto ciò, il monarca si sentì leggero e felice. La foresta, radiosa come lo stendardo di Indra, risplendeva dunque di alberi carichi di fiori i cui rami colorati s'intrecciavano tutt'attorno l'uno con l'altro. Il vento fresco, piacevole e profumato, soffiava nella foresta contro gli alberi come per godere del loro abbraccio e diffondendo il loro polline nell' aria. Questa selva incantevole era ricca di molti aspetti piacevoli, e il re la contemplò per ogni dove. Graziosi boschetti, cresciuti sul fertile suolo nella vallata del fiume, svettavano robusti come bandiere che sventolano da alti pennoni. Osservando quella foresta con i suoi uccelli cinguettanti, il re notò un eremo di eccezionale piacevolezza che catturò la sua mente all'istante. Quest'eremo si trovava in mezzo ad una grande varietà di alberi ed era illuminato dalle fiamme dei fuochi sacrificali. Esso era abitato da saggi celesti, i Valakhilya, e da vari gruppi di santi studiosi. Tutt ' intorno vi erano tappeti di fiori e per custodire le fiamme del sacrificio c' erano molti grandi templi elegantemente disposti sull' ampia sponda del fiume Malini le cui acque erano pure e molto gradevoli. Uccelli canori dal manto colorato formavano sull' eremo una specie di baldacchino, che aumentava il fascino della foresta in cui vivevano gli asceti. Nell'atmosfera sublime di quell'eremo vivevano pacificamente insieme feroci bestie da preda con miti daini. Alla vista di ciò il re avvertì una grande felicità. Quando il bel re si avvicinò all' eremo vide che era luminoso come il mondo spirituale, tanto grande era il fascino di quella dimora di santi. Egli scorse la Malini, un fiume dalle acque purissime che sembrava abbracciare con fermezza l' eremo, fluendo come la madre che dà la vita a tutti gli esseri. Trasportava fiori e bolle d' aria nelle sue onde impetuose egli uccelli cakravaka si divertivano sulle sue rive sabbiose. Il fiume aveva generato i kinnara che risiedevano là, le scimmie e gli orsi, che conoscevano bene le sue acque. I mantra sacri risuonavano su quelle acque e le sue rive di sabbia splendente formavano un luogo ideale per i giochi di elefanti, tigri e serpenti. Dopo aver constatato le qualità dell' eremo e del fiume che lo racchiudeva, il monarca decise di entrarvi. Come l'eremo di Nara e Narayana è abbellito dal sacro Gange, così quello era abbellito dal fiume Malini con le sue amabili isole e piacevoli sponde. Il re entrò nell' eremo della grande foresta, ravvivato dalle grida di pavoni inebriati. Avendo dunque raggiunto quell' eremo simile ai giardini celesti di Citraratha, re Dushyanta, sovrano della Terra, si rese conto che doveva essere giunto alla dimora di quel santo di grande levatura che aveva nome Kanva. Sapendo che possedeva ogni qualità e che era di indescrivibile splendore, il re era impaziente di vedere quel grande asceta, che apparteneva alla stirpe di Kashyapa. Lasciando il carro, i cavalli e le guardie all' entrata dell' eremo, egli disse ai suoi uomini: " Andrò a trovare il saggio e pacifico Kanva, colui che è ricco di ascesi. Voi rimanete qui fino al mio ritorno, perché non sta bene avvicinarsi ad un uomo santo con armi e soldati". Il re, solo per il fatto di avvicinarsi a quell' eremo, che sembrava un giardino celeste, dimenticò fame e sete e percepì invece intima gioia e soddisfazione. Celando ogni simbolo della sua dignità reale, il monarca proseguì per il sublime eremo con la sola compagnia di un consigliere e di un sacerdote, impaziente di contemplare il santo che aveva accumulato ascesi tali da dare frutti inesauribili. Il re osservò l' eremo che appariva come un secondo pianeta di Brahma, con i dolci ronzii delle api e i canti delle molte varietà di uccelli, finche udì dei brahmana sapienti che cantavano con precisione il Rig Veda nel corso di riti e sacrifici. L' eremo era ancora più glorioso per la presenza di eruditi studiosi che conoscevano tutta la scienza dei sacrifici e li eseguivano con la massima puntualità. Questi saggi erano rigorosamente regolati nelle loro abitudini e il loro sapere era immenso. I migliori studiosi dell ' Atharva Veda, riconosciuti tali dagli esperti del sacrificio, cantarono gli inni della Samhita con metrica, sequenza e inflessione esatte. Altri brahmana cantavano meravigliosamente bene gli inni della purificazione spirituale e, con quelle vibrazioni e quei suoni propiziatori nell' aria, l' affascinante eremo somigliava veramente al mondo del Creatore. Vi erano studiosi specializzati in metodologie per la santificazione dei sacrifici, altri che erano maestri nelle sequenze e nella fonetica della scienza del suono, altri avevano una comprensione logica e completa dell'analisi dell'universo per categorie ed altri erano sapienti conoscitori di tutti i Veda. C' erano anche studiosi che erano maestri nella composizione letteraria e nel significato del linguaggio; altri avevano una profonda conoscenza delle varie categorie sociali e dell' attività a ciascuno congeniale; altri praticavano i principi religiosi della liberazione spirituale. C' erano studiosi inclini a precisi argomenti, che avevano imparato a sviluppare una tesi, a discuterla, a controbatterla e a raggiungere una perfetta conclusione relativamente alla conoscenza della Verità Assoluta. Erano presenti i migliori studiosi del mondo e l' eremo vibrava di sapienza e di conoscenza. Ovunque si volgesse, il grande guerriero vedeva saggi colti ed equilibrati, rigorosi nei loro voti, dediti al canto di mantra e all' officio di sacrifici; ogni saggio era perfetto nel suo campo. Vedendo le meravigliose varietà di posti a sedere e di seggi, devotamente adorni di fiori, il re della Terra rimase sbalordito. Egli osservava i colti brahmana adorare il Signore Supremo nei templi dedicati a Lui e alle Sue potenti manifestazioni e, così facendo, quel monarca ideale credeva di trovarsi sul pianeta di Brahma. Egli studiò attentamente quell' ashrama sfolgorante, protetto da ogni male per merito delle ascesi di Kanva e dotato di tutto ciò che rende bella e ricca la vita spirituale. Il re, non ancora sazio, volle saperne di più. Accompagnato dal suo consigliere e dal suo sacerdote, il poderoso guerriero entrò nel tempio di Kanva intorno al quale stavano santi ed asceti che avevano fatto voti solenni. Questo santuario speciale era appartato, puro e straordinariamente incantevole. Shri Vaishampayana disse : " Alla fine, re Dushyanta dalle braccia possenti lasciò indietro i pochi consiglieri e avanzò da solo. Giunto al tempio, che si trovava in un luogo appartato, non vide il santo Kanva. Trovando l'ashrama vuoto, disse a voce alta: "C'è qualcuno qui?" Nessuno rispose e la sua voce riecheggiò fra gli alberi. Sentendo il re, una splendida ragazza, affascinante come la dea della fortuna, uscì dall' ashrama con indosso la veste tipica delle donne che praticano l'ascesi. Non appena la ragazza dagli occhi neri ebbe visto re Dushyanta gli disse: "Benvenuto nel nostro ashrama", dopodiché lo accolse con rispetto e lo onorò offrendogli un seggio adeguato, acqua per lavare i piedi ed usandogli diverse altre gentilezze. Poi s'informò sulla sua salute e sul suo benessere. Dopo averlo onorato in maniera adeguata e dopo essersi informata con sincero interesse sulle sue condizioni di salute, sorrise timidamente e gli disse: "Ti prego, dimmi come possiamo servirti". Ricevuto con tanta attenzione da quella ragazza dalle parole dolci e dal tono gentile, il re, osservando i suoi lineamenti perfettamente armoniosi, le rispose: "Sono venuto qui per adorare l' eccelso santo Kanva. Gentile ragazza, per favore, dimmi, dov'è andato quel saggio?" Shakuntala rispose: "II grande saggio è mio padre. Egli ha lasciato l' ashrama per andare a raccogliere della frutta. Per favore aspetta un momento perché sarà presto di ritorno, così potrai vederlo". Shri Vaishampayana proseguì: "Re Dushyanta non aveva trovato il saggio ma era stato accolto dalla dolce vergine Shakuntala. Egli non poté fare ameno di notare che quella giovane ragazza, dai bei fianchi e dall' affascinante sorriso, era bellissima. Il suo giovane corpo, purificato dall' ascesi e dal controllo dei sensi, era luminoso e magnifico. E così il re le disse: " Affascinante fanciulla, chi sei e chi si prende cura di te? Perché sei venuta in questa foresta? Sei così graziosa e gentile! Cara, dimmi da dove sei venuta. Delicata creatura, non appena mi sei apparsa di fronte mi hai rubato il cuore. Vorrei conoscerti meglio. Dolcezza, ti prego, parlami di te". Così interpellata dal re in quella dimora spirituale, la giovane vergine sorrise e rispose con fare gentile: "lo sono conosciuta come la figlia dell'illustre saggio Kanva, asceta eccelso e rigoroso, famoso per la sua conoscenza delle norme religiose". Re Dushyanta disse: "II santo e benedetto Kanva Muni pratica uno stretto celibato e per questo il mondo intero lo adora. Dharma stesso potrebbe deviare dai suoi principi religiosi, ma non questo saggio dai voti rigorosi. Com ' è quindi possibile che tu sia sua figlia, affascinante creatura? Sono molto scettico su ciò che mi hai detto, per cui ti prego, dissipa il mio dubbio". Shakuntala rispose: "Sire, ti prego di ascoltare, come io la conosco, la storia della mia nascita e come divenni figlia di questo saggio nobile e casto. Tempo fa un santo brahmana visitò questo ashrama e, come te, si sorprese nel sentire che io sono la figlia di Kanva, così chiese a mio padre spiegazioni sulla mia nascita. Per favore ascolta, sire, che adesso ti ripeterò cosa gli rispose l 'illustre Kanva: "Una volta il potente asceta Vishvamitra si stava dedicando a severe ascesi, che però disturbavano molto il signore Indra. Quest'ultimo infatti pensava: "Con le sue ascesi questo Vishvamitra è divenuto così potente che potrebbe persino farmi rimuovere dalla mia posizione e prendere il mio posto". Preoccupato, Indra chiamò una ragazza celeste di nome Menaka e le disse: "Cara Menaka, hai così tante qualità divine da essere la più bella delle apsara. Gentile creatura, per favore, aiutami! Ascolta ciò che sto per dirti: Il grande asceta Vishvamitra, che splende come il Sole, pratica costantemente ascesi terribili e questo mi agita il cuore. Cara Menaka, fanciulla dalla vita sottile, Vishvamitra mi ha fatto sorgere questo problema e io ti ho chiamata per risolverlo. Lui è talmente rigoroso ed inflessibile che in pratica è diventato invincibile. Tuttavia non dovrà diventare la causa per cui io cada dalla mia posizione! Avvicinalo e seducilo. Fagli interrompere le sue ascesi! Fammi questo grande favore, formosa fanciulla, usa la tua bellezza, la tua giovinezza, i flessuosi movimenti del tuo corpo, il tuo radioso sorriso e la tua eloquenza; devi volgere a te Vishvamitra e far sì che interrompa le sue ascesi". L 'avvenente Menaka rispose: "Tu che sei una grande personalità sai molto bene che anche lui è dotato di tremendo potere e, per il suo impegno nelle più difficili ascesi, ha un carattere terribile. Se perfino tu sei così preoccupato delle sue ascesi, del suo potere e del suo brutto carattere, come posso non esserlo io? Quella grande anima è così potente che rapì persino i figli prediletti dell' onnipotente saggio Vasishta. Considera la forza e la tenacia di Vishvamitra: nacque come guerriero ma volle diventare a tutti i costi un brahmana; per lavarsi ha creato un fiume immenso, il Kaushiki: difficile da attraversare è considerato uno dei più importanti fiumi sacri del mondo. Quando in passato quella grande anima dovette affrontare tempi difficili, Matanga, re santo e pio, che era diventato un cacciatore, mantenne la moglie di Vishvamitra. Terminato il periodo di carestia Vishvamitra tornò al suo ashrama e cambiò il nome del fiume chiamandolo Para. Grato a Matanga, Vishvamitra si impegnò in un sacrificio così potente che persino tu, signore dei deva, hai dovuto andarci e bere ansiosamente il soma. Adirato con i deva, lui si creò la sua costellazione, ricca di stelle dominate da Shravana, che è la più fulgente. Ho molta paura di una persona che può compiere tali prodezze. Potente Indra, dimmi come devo comportarmi per evitare che Vishvamitra diventi furioso e mi riduca in cenere. Ha il potere di incendiare i pianeti. Con un calcio può far tremare la Terra intera e, sol che voglia, può comprimere il possente Monte Meru fino a farlo diventare una palla da ruzzolo. Come può una giovane donna come me anche solo andare a toccare un saggio che ha soggiogato i propri sensi le cui ascesi hanno praticamente trasformato in un fuoco ardente? Come può una come me osare avvicinarsi ad un uomo la cui bocca è fuoco fiammeggiante, la cui lingua è come il tempo fatale? O migliore dei deva, le pupille dei suoi occhi appaiono grandi come il Sole e la Luna. Il signore della morte, il deva della Luna, i grandi saggi ed i Sadhya, i Vishvedeva, i Valakhilya, tutte le creature temono il suo potere. Come può, dunque, una giovane donna come me non avere paura? D'altro canto, signore dei deva, come posso non andare da lui ora che me lo hai ordinato? Ti prego, re dei celesti, pensa a come salvarmi! Nel tuo interesse assicurati che io sia protetta mentre vado a compiere la tua missione. Signore, sarebbe ben trovato se il deva del vento, mentre cadrò a gambe levate dinanzi al saggio, sollevasse le mie vesti esibendo il mio corpo. Inoltre, per la tua misericordia, disponi che Manmatha, il deva dell' amore che mette in agitazione tutti i cuori, mi assista personalmente. Disponi inoltre che un incantevole vento profumato soffi su di noi, quando inizierò la seduzione del saggio". Indra rispose di si a tutte le richieste di Menaka e, non appena ebbe organizzato il tutto, lei si recò all' eremo di Vishvamitra". Shakuntala continuò a narrare la storia di Kanva: "Indra, dopo aver ascoltato la giovane apsara, diede istruzioni appropriate al Vento, che è sempre in attività, poi Menaka partì con lui. Quando la bella Menaka, comprensibilmente ansiosa, arrivò sul posto, vide il saggio che aveva bruciato tutti i suoi peccati con le ascesi e che continuava ad impegnarsi in altre. Ella gli offrì rispettosi omaggi ed iniziò a giocare davanti a lui. Come preordinato, il vento le aprì il vestito, splendido come la Luna piena. Non appena il vento ebbe svelato il suo corpo celestiale, ella si buttò subito a terra riavvolgendosi nella propria veste e sorridendo timidamente. Mentre cercava affannosamente di aggrapparsi al suo vestito, Menaka si mostrava confusa, incapace di coprirsi e così il migliore dei saggi poté vedere limpidamente l'indescrivibile bellezza delle sue forme giovanili. L' eccelso brahmana, scorgendo la bellezza di quel corpo, desiderò ardentemente congiungersi con la fanciulla, cadendo in tal modo sotto il controllo dell'impulso sessuale. La invitò a giacere con lui e la ragazza dalle forme perfette accettò con piacere. A lungo i due si divertirono nel bosco dandosi reciproco piacere e assecondando i loro desideri. Una lunga vicenda si svolse ma per loro fu come se fosse passato un solo giorno. Sopra un altopiano dell 'Himalaya, vicino al fiume Malini, il saggio generò in Menaka una figlia cui fu dato il nome Shakuntala, che però venne abbandonata, appena nata, sulla sponda del fiume. Menaka infatti, compiuto il suo dovere, tornò veloce al ricco pianeta di Indra. Alcuni uccelli, scorgendo la neonata che riposava indifesa in quella foresta solitaria, piena di leoni e di tigri, la protessero con cura da ogni parte. Determinati a far sì che i predatori non facessero del male alla bambina, rimasero sul posto per proteggerla. Io, Kanva, venni sulla sponda di quel fiume per lavarmi e vidi quella neonata che era protetta soltanto dagli uccelli, là distesa, nella meravigliosa foresta solitaria. La presi con me e la crebbi come se fosse figlia mia. Secondo i principi religiosi ci sono tre categorie di padri: la prima è costituita da coloro che generano un figlio, la seconda è costituita da coloro che salvano la vita a un bambino, la terza è costituita da coloro che lo alimentano e lo mantengono. Siccome la bimba era stata protetta così bene dagli uccelli Shakunta, le detti nome Shakuntala. Saggio gentile, ora sai che Shakuntala è mia figlia e che nella sua mente innocente lei mi ha accettato come suo padre". Shakuntala concluse: "In questo modo Kanva narrò la storia della mia nascita al grande saggio che ne aveva fatto richiesta. Maestà, ora sai in che modo io sono figlia di Kanva. Ho accettato completamente Kanva come mio padre perché non ho mai conosciuto il mio vero genitore. Ti ho raccontato la storia della mia nascita, sire, esattamente come l'ho sentita da mio padre". Re Dushyanta disse: "Cara ragazza, a giudicare da ciò che hai detto, è evidente che tu sei figlia di un re. Diventa mia moglie, graziosa fanciulla. Dimmi cosa posso fare per te. Oggi stesso ti porterò ghirlande d' oro, gli ornamenti più pregiati, orecchini, cavigliere e gemme provenienti da ogni parte del mondo. Bellezza straordinaria, ti porterò bracciali, medaglie ed abiti preziosi. Sii mia moglie, ragazza meravigliosa, lascia che in questo giorno il mio regno diventi tutto tuo. Mia timida bambina, il matrimonio Gandharva, che nasce dall'amore senza consultare i genitori, è considerato la forma migliore di matrimonio per uomini e donne di rango reale. Perciò, meravigliosa fanciulla dalle belle cosce soffici e rotonde come un albero baniano, uniamoci secondo il rito Gandharva". Shakuntala rispose: "Caro re, mio padre è andato via dall' eremo solo per raccogliere un po' di frutta. Ti prego, aspetta un attimo, e lui stesso mi offrirà a te". Dushyanta incalzò: "Pura fanciulla dalle forme perfette, voglio che tu mi accetti. Sappi che sono qui solo per te e la mia mente si è già persa per te. Ognuno deve essere sincero con se stesso se vuole raggiungere il proprio scopo nella vita. Perciò, devi darti a me ora, secondo la legge di Dio. Il codice religioso riconosce otto tipi di matrimonio, che sono, in breve: il Brahma, il Daiva, l' Arsha, il Prajapatya, l' Asura, il Gandharva, il Rakshasa ed in ultimo il Paishaca. Manu, figlio di Brahma, ha descritto le caratteristiche di queste forme di matrimonio ed ha stabilito che le prime quattro sono raccomandate per i brahmana. Devi anche sapere che le prime sei sono considerate adatte per coloro che sono di rango reale, innocente fanciulla. Per i re è approvato anche il matrimonio Rakshasa, mentre il matrimonio Asura è autorizzato per i vaishya e per gli shudra. Fra i cinque, tre sono propri e due impropri. I matrimoni Paishaca ed Asura non devono mai essere praticati da coloro che sono di rango reale. E' seguendo queste regole che noi conosciamo il nostro dovere e sappiamo come si pratica la virtù. Ti prego, non devi preoccuparti. Ti assicuro che per i re i matrimoni Rakshasa e quelli Gandharva sono in perfetto accordo con i principi religiosi. Separatamente o insieme, si possono eseguire entrambe le forme di matrimonio. Non ci sono dubbi su questo. Mia amabile signora, ti desidero e anche tu mi desideri. Adesso, con tua libera scelta, ti prego di diventare mia moglie con il matrimonio Gandharva". Shakuntala rispose: "Se questo è veramente nell' ordine della virtù, dato che apparteniamo entrambi all' ordine reale, e se veramente sono io la mia sola guida quando giunge il momento di offrirmi ad un uomo, allora, migliore dei Kuru, ascolta ciò che ti propongo. Mio signore, promettimi sinceramente che mi garantirai ciò che sto per chiederti in questo posto solitario. Se ti sposerò, il figlio che nascerà da me sarà il tuo erede al trono. Grande re, garantiscimi in tutta sincerità che nostro figlio sarà il principe ereditario. Se mi dici che ciò avverrà, Dushyanta, allora mi unirò a te subito". Shri Vaishampayana continuò a narrare: "Senza un attimo di riflessione il re le rispose: "Certo che lo farò! Ti porterò nella mia città, fanciulla dal dolce sorriso, perché meriti di essere la moglie del re. Armoniosa creatura, te lo dico in tutta sincerità". Detto questo a Shakuntala dal perfetto portamento, il re santo la prese per mano e, in accordo alle sacre leggi, giacque con lei. Poi la confortò e partì da solo perché non era prudente portare quella donna delicata sulla lunga strada che portava alla capitale. Però le disse più volte: "Mia dolce e sorridente fanciulla, manderò una scorta di fanteria, cavalli, carri ed elefanti solo per te. Con questa scorta regale ti porterò al mio palazzo". O Janamejaya, dopo questa promessa il re partì; ma dentro di se era preoccupato poiché pensava a Kanva, il potente padre della ragazza. Il saggio non era ancora tornato ed il monarca non lo aveva atteso di proposito. "Quando quell' eccelso asceta saprà la novità, cosa farà?", rimuginava il re. La domanda tornava senza sosta nella sua mente finché Dushyanta concluse il viaggio rientrando nella capitale. Un attimo dopo che Dushyanta ebbe lasciato l' eremo, tornò Kanva. Shakuntala, intimidita ed imbarazzata, non andò a riceverlo; ma per via delle sue grandi ascesi Kanva possedeva una conoscenza divina e quindi sapeva tutto ciò che lei aveva fatto. Attraverso la visione spirituale vide che il matrimonio era avvenuto in accordo ai princìpi religiosi, che Dushyanta aveva enunciato, perciò il grande saggio si compiacque di sua figlia e le disse : "Ciò che hai fatto oggi, unirti con un uomo senza le mie benedizioni, per te che sei una discendente di re, non è contro le leggi di Dio. E' detto che per l' ordine regio il matrimonio Gandharva, in cui un uomo ed una donna che si amano si uniscono in un luogo isolato senza rituali o mantra, è il migliore. Mia cara Shakuntala, tu hai accettato per marito un uomo profondamente pio. Dushyanta è una grande anima, è il più eccellente tra gli uomini, e ti ama. So che una grande e straordinaria personalità nascerà in questo mondo come figlio tuo e governerà tutti i continenti. Quando quella grande anima fonderà la giustizia nel mondo, la sua area di influenza si estenderà ovunque senza ostacoli e per ovunque intendo il mondo intero". Dopodiche Shakuntala prese il carico del padre, la frutta che aveva colto, lo posò e gli lavò i piedi con devozione. Quando il saggio asceta si fu ristorato lei gli disse: "Ho scelto Dushyanta, il migliore degli uomini, per marito. Adesso padre, ti prego, per la tua misericordia benedici lui e i suoi consiglieri". Kanva Muni disse: "Sono già ben disposto verso di lui perche desidero il tuo bene, mia amata figlia, e adesso, per suo vantaggio, accetta da me una grazia, qualunque cosa tu desideri". Shri Vaishampayana disse: "Shakuntala desiderava ardentemente il bene di Dushyanta e scelse come grazia che suo marito, re della dinastia Paurava, fosse sempre ligio alla volontà di Dio e che, per grazia del Signore, non perdesse mai il trono". Shri Vaishampayana, continuando a narrare, disse: "Re Dushyanta tornò nella sua città dopo aver fatto precise promesse all' amata Shakuntala. Ella portò per tre anni il suo seme nel grembo e infine partorì un bambino dalla forza sovrumana, un bambino radioso come il fuoco ardente, meraviglioso e generoso, un autentico figlio di Dushyanta, o re Janamejaya. Il saggio Kanva officiò personalmente le cerimonie di purificazione alla nascita del bimbo e altre cerimonie per invocare benedizioni su tutto il corso della sua vita. Il santo antenato conosceva bene il procedimento di purificazione e le cerimonie che officiò avrebbero procurato al bimbo prosperità di ogni genere. Quanto al bambino, costui aveva denti bianchi, lucidi e ben fatti, e le sue mani erano marcate con segni favorevoli: i cakra. Aveva la testa grande e molto bella ed era dotato di grande forza. Cresceva rapidamente ed era radioso come il figlio di un deva. Quando raggiunse i sei anni iniziò a catturare tigri, leoni, cinghiali selvatici, elefanti e bufali, che legava agli alberi intorno all' eremo di Kanva. Amava poi salire loro in groppa, divertendosi a domarli e a correr loro intorno. Perciò gli abitanti dell' eremo di Kanva gli dettero un nome: "si chiami Sarva-damana", dissero, perché doma chiunque". Il ragazzo venne conosciuto come Sarva-damana ed era dotato di coraggio, di vigore e di potenza. Osservando i comportamenti sovrannaturali del bambino e conoscendo la sua forza, il santo Kanva disse a Shakuntala: "E' tempo per lui di essere incoronato come giovane re, il successore legittimo al trono", dopodiché disse ai suoi discepoli: "Shakuntala è benedetta da tutti i segni che indicano in lei una buona moglie. Quanto prima dovrete scortare lei e suo figlio per condurla da questo eremo al marito. Non sta bene che una donna rimanga troppo a lungo con i propri parenti. Prolungando tale condizione si corrompono la sua fama, il suo carattere e i suoi principi morali. Perciò conducetela da suo marito senza indugi". "Così sia", dissero i potenti saggi, e partirono per Hastinapura, scortando Shakuntala e suo figlio davanti a loro. La madre, raggiante, prese il figlio dagli occhi di loto simile ad una creatura dei deva e finalmente lasciò la meravigliosa foresta dove era cresciuta e dove aveva conosciuto Dushyanta. Shakuntala con il seguito di saggi arrivò ad Hastinapura. Fu ammessa a palazzo reale e portata dinanzi al re col suo giovane figlio, luminoso come il Sole del mattino. Vedendo il marito assiso sul trono reale, splendido come il signore del paradiso, ella sentì una gran gioia e chinò la testa. Dopo averlo appropriatamente onorato, ella disse: "Questo bambino è tuo figlio, sire. Ora dovresti consacrarlo come tuo successore" . Poi Shakuntala si girò verso suo figlio e gli disse: "Porgi i tuoi rispetti a questo re degno di fede, poiché lui è tuo padre". Dopo aver così parlato al figlio rimase in piedi, china, in atteggiamento di umiltà, mentre il giovane figlio univa le mani in segno di preghiera e di saluto onorando il re con rispetto. Poi il ragazzo spalancò gli occhi dalla felicità e fissò il suo amato padre, ma quando si mosse per abbracciare il re, questi raggelò al tocco del figlio e rimase immobile sul trono. "Sii gentile!" disse la madre. Ma il re, che conosceva bene i principi della religione, aveva visto qualcosa che lo aveva invaso di terrore. Preoccupato ponderò la situazione, poi rispose: "Bella signora, ti prego, dimmi perché sei venuta qui. Dato che hai un figlio giovane io di sicuro cercherò di aiutarti". Shakuntala rispose: "Sii gentile con noi, grande re! Ti dirò perché siamo venuti, o migliore degli uomini, perché tu generasti in me questo ragazzo, che è come un giovane deva sulla terra. Adesso, maestà, devi fare di lui ciò che promettesti. Te fortunato, ricorda la promessa che mi facesti quando ci unimmo nell' eremo di Kanva Muni". Sentendo le parole della moglie e pur ricordando tutto ciò che era accaduto, il re disse: "Non ricordo. A chi appartieni donna, o asceta corrotta? Non ricordo di aver avuto alcun rapporto con te, ne per motivi religiosi, ne per ragioni sentimentali, ne per affari. Puoi andare o restare, come desideri. Fa ciò che vuoi!". Sentite le parole del re, quella donna meravigliosa e intelligente arrossì dalla vergogna e ammutolì restando in piedi, stordita. Il dolore era tale da renderla come priva di coscienza, immobile come un tronco d'albero, con gli occhi divenuti rosso rame per la collera mentre le sue belle labbra tremavano di risentimento. Lanciava al re trasversali sguardi di fuoco, come se volesse ridurlo in cenere. Quasi pazza di collera riuscì tuttavia a mantenere il controllo di se e a celare il sentimento di furore aggrappandosi all' ardore del potere accumulato in tutta la sua vita ascetica. Al culmine del dolore e dello sdegno si fermò un attimo a riflettere sulla situazione, poi fissò con audacia il marito pronunciando con rabbia queste parole: "Tu sai , Maharaja! Dunque, perché parli in questo modo? Perché dici con aria indifferente che non sai, come se tu non fossi diverso da un qualunque infimo essere? Il tuo cuore conosce il vero e il falso di questa storia e tu, persona degna, ne sei certamente testimone nel tuo cuore. Perciò non svilire la tua anima: chi si presenta in modo diverso da ciò che in realtà sa di essere è un ladro che deruba la propria coscienza. Una simile persona, sentendosi perduta, quale peccato si tratterrà dal commettere? Forse pensi che fossimo soli quando mi hai amata e che laggiù non ci fossero testimoni? Non sei consapevole del Signore Onnisciente, la Sorgente di tutto, Colui che risiede nei nostri cuori? Di Lui che conosce tutto ciò che fanno gli uomini empi? Tu osi torturare altri in Sua presenza? Il peccatore pensa: "Nessuno sa ciò che ho fatto". Ma lo sanno i deva e il Signore che sta nel cuore. Lo sanno il sole e la luna, il vento e il fuoco, il cielo e la terra, il signore della morte, il giorno e la notte, l'alba e il tramonto e il deva della giustizia, tutti quanti loro sanno ciò che l'uomo fa". Shakuntala disse: "Il Signore Supremo è nel cuore di ognuno ed è testimone dei nostri atti. Egli conosce tutto ciò che facciamo nel campo d' azione del nostro corpo. Se è soddisfatto dei nostri atti, allora anche il signore della morte, nato dal sole, ci perdonerà e trascurerà ciò che avremo fatto di sbagliato. Ma se uno è caparbiamente sciocco, questo non piacerà al Signore, e allora Yama, deva della morte, si porterà via il malfattore per punirlo di tutti i peccati commessi. Quando un uomo dà la sua parola e poi agisce diversamente, si degrada, e neanche i deva lo aiuteranno perché sarà divenuto malvagio. Tu dovresti essere contento e pensare: "Mia moglie mi ama al punto che è venuta senza attendere la scorta reale". Non umiliarmi in questo modo, perché io ti ho accolto come il signore della mia vita. Adesso tua moglie è venuta ed è qui dinanzi a te, ma tu non la onori con un benvenuto adeguato e con doni, come farebbe qualsiasi uomo per bene. Io sono qui, alla tua corte! Perché mi ignori come se fossi una donna qualunque? Non sto gridando al vento, sto parlando a te, mio marito, perché non mi ascolti? Se non tieni conto delle mie parole, anche quando ti imploro in questo modo, Dushyanta, oggi, in questo stesso giorno la tua testa esploderà in cento pezzi ! E' nella moglie che un marito entra per rinascere nel suo grembo, nella forma di figlio. Da sempre gli studiosi sanno questo e perciò chiamano la moglie jaya, la fonte della nascita. Quando un uomo si unisce a sua moglie e genera un figlio, libera i suoi antenati defunti creando una nuova futura generazione della sua stirpe familiare. Il figlio salva realmente suo padre dall'inferno, il Put, per questo il Creatore ha chiamato il figlio putra. E' una vera moglie quella che è esperta nei doveri familiari. E' una vera moglie quella che genera buoni figli. E' una vera moglie quella che fa di suo marito la sua stessa vita. E' una vera moglie quella la cui dedizione al proprio uomo è incorruttibile. Una moglie fedele è l' altra metà del suo uomo. Una moglie fedele è il migliore amico del marito. Una moglie fedele porta moralità, gioia e prosperità in famiglia. Una moglie fedele è quella che si prende cura del marito fino alI 'ultimo respiro. Gli uomini che hanno buone mogli osservano sante ricorrenze. Gli uomini che hanno buone mogli sanno come amministrare la casa. Gli uomini che hanno buone mogli sono lieti per la misericordia del Signore. Gli uomini che hanno buone mogli conoscono l' abbondanza e la bellezza. Le mogli che parlano ai loro mariti con amore sono i loro amici più cari nell' intimità. Sono come padri quando è il momento di osservare i doveri religiosi e sono le madri più affettuose quando i loro uomini sono nel dolore. Persino quando viaggia per un territorio buio e selvaggio, un uomo trova ristoro e conforto nel pensiero della propria moglie. In colui che ha una buona moglie si può riporre fiducia. Per tutto questo, una moglie buona e fedele è la cosa più desiderabile per un uomo di questo mondo. Una moglie devota è sempre col marito, in ogni sorta di dispiaceri e persino nell' altro mondo, perché essi condividono il medesimo destino. Se la moglie è la prima a morire, ella aspetta il marito nell'altro mondo e quando l'uomo muore prima, una moglie santa lo segue. E' per tutte queste ragioni, sire, che si deve prendere una donna col rito matrimoniale, perché il marito avrà un amico sincero in questo mondo e nella vita che seguirà. Siccome un padre nasce di nuovo attraverso suo figlio, un uomo dà la vita a se stesso quando procrea un figlio in questo mondo. Perciò deve guardare alla moglie, madre dei suoi figli, come se fosse la sua stessa madre. Quando il padre osserva suo figlio, generato nel grembo della sua devota moglie, gioisce come se guardasse se stesso in uno specchio. Il paradiso gli è assicurato se farà del bene alla sua famiglia. Gli uomini intelligenti, che pur bruciano nell' angoscia e nell' ansietà di questo mondo, gioiscono e trovano sollievo nelle buone mogli proprio come coloro che, tormentati dal fuoco, sono ristorati dall' acqua fresca. Un uomo intelligente, anche se si arrabbia, non sarà mai sgarbato con la donna che lo ama, perché sa con chiarezza che il suo affetto, il suo amore e le sue qualità dipendono tutti da sua moglie. Donne adorabili sono in sempiterno la sacra area di azione dove la buona progenie si eleva. Persino una persona santa, quando crei una progenie, che cosa potrà se non si prenderà cura della sua donna? Per un padre cosa c' è meglio di un figlio che, coperto di polvere dopo aver corso, va ad abbracciargli le gambe? Quando tuo figlio ti viene incontro con amore, impaziente di avere il riscontro del tuo, com' è possibile disapprovarlo e rifiutarlo? Persino le minuscole formiche si prendono cura delle proprie uova e non le rompono. Come fai a non prenderti cura del tuo figlio legittimo, tu che sei così esperto nei principi della religione? Il piacere che uno prova nel toccare begli ornamenti, donne affettuose o acqua fresca, non può essere comparato al piacere che uno prova nel toccare il proprio figlio quando viene ad abbracciare i suoi genitori. Come il brahmana è il migliore tra gli esseri a due gambe, come la mucca è l' animale che ha più valore tra i quadrupedi e come il guru è il migliore tra coloro che possiedono una profonda conoscenza, così fra tutti i tipi di contatto fisico, quello che consiste nel toccare il proprio figlio è a tutti superiore. Questo ragazzo meraviglioso è tuo figlio; lascia che ti tocchi! Non c'è felicità al mondo che eguagli l'abbraccio del proprio figlio. Dopo tre anni completi di gestazione, diedi alla luce questo ragazzo, o imperatore, e sarà lui che farà scomparire tutte le tue pene. Al momento della sua nascita, o re Puru, una voce celeste profetizzò che lui officerà cento sacrifici del cavallo. Quando gli uomini sono stati lontano, in altri villaggi, e poi tornano a casa, essi prendono subito in braccio i loro bambini e li baciano sulla testa con gioia. Tu sai molto bene che nella cerimonia della nascita dei figli, i nati due volte recitano questi versi tratti dai sacri Veda: "Tu vieni dalle mie membra perché sei nato dal mio cuore. Sei quella parte di me che chiamo mio figlio; che tu possa vivere per cento autunni ". "La mia forza e la mia sopravvivenza dipendono da te, perché è in te la continuità della nostra famiglia. Perciò, mio amato, che tu possa vivere nel modo più felice per cento autunni". Dushyanta, questo ragazzo è nato dal tuo corpo. L 'uomo è venuto dall'uomo. Devi guardare a nostro figlio come una parte di te, proprio come guardi il tuo riflesso nelle acque chiare di un lago. Come le famiglie si trasmettono il fuoco perenne fra le loro case e con esso accendono il fuoco sacro del sacrificio, così questo figlio è venuto da te. Dushyanta, adesso da uno sei diventato due, perché hai un figlio. Ti sei smarrito dietro ad un daino cui stavi dando la caccia, sire, e hai incontrato me: una ragazza vergine nella pia casa di suo padre. Tra tutte le paradisiache apsara le sei più belle sono: Urvashi, Purvacitta, Sahajanya, Menaka, Vishvaci, e Ghrtaci. Fra queste, Menaka, nata da Brahma, è quella a tutte superiore. Lei è venuta dal paradiso sulla Terra, si è unita a Vishvamitra e mi ha generato come figlia sua. L' apsara Menaka mi partorì in cima ad una vetta dell 'Himalaya, poi quella donna senza cuore mi abbandonò là andandosene, come se fossi di qualcun' altra. Oh, quali peccati devo aver commesso nella mia vita passata per essere rifiutata nell'infanzia dai miei genitori e adesso da te, mio marito! E sia, se mi rifiuti tornerò all' eremo, ma è male per te rifiutare anche il ragazzo che tu hai fatto arrivare in questo mondo". Dushyanta rispose: "lo non riconosco il figlio nato da te, Shakuntala. Le donne sono famose per le loro menzogne, perciò, chi crederà alle tue parole? Tua madre Menaka non era nient'altro che una cortigiana senza misericordia che ti ha abbandonata su un picco himalayano come se tu fossi stata una ghirlanda appassita. Non si comportò anche tuo padre senza misericordia? Vishvamitra nacque da una madre di famiglia reale ma, seguendo il suo desiderio, smaniò per arrivare al rango di brahmana. Ma anche ammesso che Menaka sia la migliore delle apsara e Vishvamitra il migliore tra i grandi saggi, come puoi tu, donna perduta che corri dietro agli uomini, dichiarare di essere la loro figlia? Non ti senti imbarazzata a dire cose cui la gente semplicemente non può credere? Oltretutto, osi parlare in questo modo in mia presenza. E' meglio che te ne vada, falsa asceta! Chi sei in confronto al grande e potente saggio che ti generò, o alla famosa apsara Menaka? L 'unico punto chiaro è che sei una donna disgraziata con indosso la veste di asceta. Dici che tuo figlio è un ragazzo di sedici anni mentre il suo corpo è troppo grande per quell' età ed è già molto forte, più forte di un normale ragazzo. Come ha potuto crescere alto e robusto come il tronco di un albero sala in così poco tempo? Tutto ciò che dici, o asceta, rimane un mistero per me. Lo non ti riconosco. Puoi andartene dove vuoi!" Shakuntala rispose: "Sire, tu parli dei difetti altrui, anche se sono piccoli come semi di mostarda, mentre il tuo errore è grande come il frutto bael, che se lo hai davanti agli occhi non puoi vedere nient'altro: Menaka è una tra i trenta deva più importanti, ma in realtà questi trenta vengono dopo di lei. La mia nascita è di lignaggio piu alto del tuo, Dushyanta. Tu cammini sulla Terra, sire, mentre io posso andarmene in giro per i pianeti paradisiaci. Cerca di capire che la differenza che c' è tra noi è come quella tra il possente Monte Meru ed un piccolo seme di mostarda. lo vado a mio piacimento fino alle dimore di lndra, di Kuvera, di Yamaraja e di Varuna. Sire, considera il mio potere ! Ciò che sto per dirti è la verità, povero innocente, te lo dico solo per insegnarti qualcosa, non perché ti odii o ti invidii; ascolta le mie parole e dimentica qualunque offesa io possa averti fatta. Finché una persona brutta non si guarda allo specchio pensa di essere più bella degli altri. Ma quando vede in uno specchio la sua faccia deforme allora capisce che il brutto è lui, non gli altri. Chi è veramente bello non disprezza nessuno, ma chi parla troppo e in modo sprezzante, ingiuriando sempre gli altri, è un essere offensivo. Quando uno sciocco ascolta la gente dire cose buone e cose cattive, preferisce credere a quelle cattive, proprio come un maiale è lieto di mangiare gli escrementi. Un saggio che ascolti la gente nel dire parole buone e parole empie, dà credito a quelle buone, proprio come fa il cigno quando estrae dall' acqua il latte prezioso. Quando un giusto critica gli altri prova rimorso, mentre un empio che critica gli altri prova una grande soddisfazione. Quando le persone pie rendono omaggio ad un saggio e ad un anziano provano piacere, mentre uno sciocco prova piacere a molestare le persone pie. Coloro che non vedono difetti negli altri vivono felici, mentre il piacere degli sciocchi consiste nel cercare i difetti degli altri. Persino rimproverate, le persone sante parlano bene di coloro che li hanno criticati. E non c' è niente di più ridicolo in questo mondo di un malvagio che accusa un santo di essere empio. Se un uomo uscito dal sentiero della verità e della virtù, divenuto iracondo come un serpente velenoso, riesce ad infastidire persino gli atei, quanta ansietà causerà ad un uomo di ferma fede che crede in Dio? Quando un uomo genera un figlio come questo ragazzo e poi lo tratta con disprezzo, i deva dei pianeti celesti s'incaricheranno di distruggere la sua ricchezza e lui fallirà nello scopo di raggiungere i pianeti dei beati. I nostri antenati dicono che un figlio sta alla base dell' albero familiare e rappresenta il nostro primo dovere, perciò non si deve mai respingere il proprio figlio. Manu ha detto che oltre al figlio generato con la propria moglie ci sono altre cinque categorie di figli: quelli ricevuti in dono, quelli acquistati, quelli allevati, quelli adottati e quelli generati con donne diverse dalla propria moglie. I figli sono come robuste navi di rettitudine perché non appena nascono portano al padre fama e virtù, riempiono le loro menti di amore e salvano gli antenati caduti nell' inferno. Tigre fra gli uomini, di sicuro non ti si addice il gesto di rifiutare tuo figlio! Signore della Terra, ora è il momento in cui devi proteggere la religione, la verità e la tua anima! Leone fra i re, non praticare l' inganno ! E' meglio possedere un laghetto che cento pozzi e un sacrificio religioso è meglio di cento laghi, ma anche un solo figlio è meglio di cento sacrifici. Ma la verità, sire, è più preziosa di cento figli. L' onestà fu posta sopra un piatto di una bilancia, sull' altro furono messi mille "sacrifici del cavallo"; l' onestà risultò di maggior peso. Imparare tutti i Veda e bagnarsi in tutte le acque sacre è appena paragonabile al dire la verità. Non esiste virtù più alta del dire la verità, perché non c'è nulla che sia più elevato della verità e niente in questo mondo è più amaro dell' inganno. Sire, dire la verità significa essere con Dio, per questo il nostro impegno più elevato è quello di dire la verità. Non infrangerlo sire, sii sempre uno con la verità! Ma se vuoi proprio mentire e non credi al valore dell' onestà, allora io me ne andrò via perché non ho nessuna intenzione di rimanere con un essere di tal fatta. Anche senza il tuo intervento, Dushyanta, mio figlio governerà questo pianeta, le cui quattro direzioni sono coronate dal re delle montagne". Shri Vaishampayana continuò a raccontare: "Dopo aver pronunciato queste parole, Shakuntala si apprestò a partire ma, mentre Dushyanta stava li seduto con intorno sacerdoti, ministri, insegnanti e consiglieri, una voce proveniente da una fonte invisibile si rivolse al re e gli disse: "La madre è il contenitore in cui il padre genera il figlio. Il figlio non può essere separato dal padre perché è del padre. Prenditi cura di tuo figlio, Dushyanta! Non commettere una cattiva azione ai danni di Shakuntala! Il figlio che porta il seme del padre salverà il padre dal dominio del signore della morte. Sei tu, sire, che hai piantato il seme di questo ragazzo. Shakuntala ha detto il vero. Quando una moglie genera un figlio, il suo corpo diviene due. Perciò, Dushyanta, abbi cura di tuo figlio, nato da Shakuntala. Quale uomo sarà così privo di bontà e di mezzi da abbandonare, mentre è in vita, un figlio vivente? Discendente di Puro, curati di questa grande anima che è il figlio di Shakuntala e di Dushyanta. E' per nostro ordine che devi crescere questo ragazzo. E fa che tuo figlio venga conosciuto con il nome di Bharata". A quest'ordine e a questa enunciazione che proveniva dagli abitanti dei pianeti celesti, il re Paurava si riempì di gioia e disse ai sacerdoti e ai consiglieri: "Signori, dovete tenere conto che questa conferma viene da un messaggero dei deva! Ora posso riconoscere apertamente questo ragazzo come il mio amato figlio. Se io lo avessi accettato solo per le parole di sua madre o anche per mia volontà, il popolo avrebbe potuto dubitare della sua purezza e delle circostanze della sua nascita, e ciò avrebbe potuto turbare la sua vita di re. Ho parlato così perché sapevo che i deva avrebbero mandato un loro messaggero a difendere la figlia di Menaka e il suo potente figlio. Ho agito così per mantenere la promessa fatta a mia moglie e cioè che suo figlio sarebbe diventato re e contemporaneamente per evitare un grande scandalo che mi avrebbe forzato ad abbandonare la famiglia". ! Ora che il messaggero dei deva aveva testimoniato il buon nome di suo figlio, il re era al culmine della gioia, col cuore in estasi prese suo figlio fra le braccia baciandolo sulla testa e abbracciandolo con tenero affetto. Sapienti brahmana accettarono senza riserve il ragazzo e i poeti di corte si misero a cantare le sue lodi. Il re provò la gioia veramente più grande toccando il suo amato figliolo. Egli conosceva bene i principi della religione e coerentemente con questi principi rese pieno onore alla moglie. Per placare il suo cuore ferito le disse: "Divina, la mia unione con te era ignota al popolo, per questo, dopo lunga riflessione, ho agito come hai visto, perché si affermasse la tua purezza. Il popolo avrebbe potuto pensare che ero stato preso dalla tua femminilità e dal tuo fascino e che solo per questo mi ero unito a te. Il popolo chiede che un re agisca per il benessere di tutti, che scelga una moglie che aiuti il popolo e che dia al re un figlio degno di lui. Non avrebbero mai accettato una regina scelta dal re sotto la spinta della lussuria e neanche avrebbero ritenuto loro principe il figlio nato da questa lussuria. Io non posso dimenticare i miei doveri di re; ho agito in coerenza con i miei predecessori perché il mondo dipende da noi e se avessi fatto altrimenti, avrei perduto la mia famiglia. lo avevo già deciso che questo nostro ragazzo sarebbe stato il futuro re e cercavo disperatamente di trovare un modo per salvare la nostra relazione e nello stesso tempo preservare il regno a nostro figlio. Donna dagli occhi meravigliosi, donna santa, anche se nella rabbia hai usato parole dolorosissime contro di me, lo hai fatto per il tuo amore, perciò, tutto è perdonato". O Bharata, dopo aver così parlato alla sua amata regina, Dushyanta la onorò lealmente con ornamenti, cibi e bevande. Successivamente re Dushyanta consacrò il figlio di Shakuntala come principe Bharata, erede al trono. Come il Sole splendente fa giri ampi nei cieli, così fece il famoso carro di quella grande personalità che fu Bharata, andando in lungo e in largo su questo mondo. Grande ed invincibile il suo carro tuonò per tutta la Terra e il re illuminò le genti col suo governo, fondato sulla legge sacra. Controllando i governanti delle varie parti della Terra, li portò sotto un governo unificato ed armonioso, praticando i principi delle persone sante. Fu così che meritò il vertice della fama. Questo re fu un imperatore perfetto, un guerriero poderoso che governò la Terra intera e fece molti sacrifici religiosi, compresi quelli dello stesso Indra, signore dei Marut. Come aveva fatto Daksha prima di lui, incaricò il saggio Kanva di officiare un sacrificio durante il quale venne offerta una gran quantità di regali a tutti i partecipanti, persino alle persone comuni venute come spettatori. Questo re, che possedeva enormi ricchezze, fece un sacrificio del cavallo durante il quale venne distribuito un gran numero di mucche pregiate colme di latte. Va ricordato anche che re Bharata dette miliardi di mucche a Kanva Muni. Da re Bharata scaturisce la fama della gloriosa dinastia Bharata, cui appartennero molti re antichi e famosi che presero il nome di Bharata. Ci furono infatti, nella sua discendenza, molti re nobili e potenti come i deva. Questi re furono così devoti al Signore Supremo da essere accettati come Suoi rappresentanti autentici in Terra. Non è possibile menzionare qui tutti i loro nomi perché i grandi re Bharata furono innumerevoli. Ricorderò i più importanti tra loro, o Bharata, re dalla sorte straordinariamente fortunata, radiosi su questa Terra come deva, ardimentosi seguaci della verità e della rettitudine".( tratto dal libro Mahabharata Antologia di passi scelti da Marco Ferrini – Centro Studi Bakhtivedanta – Perignano Pisa - traduzione dal sanscrito di Marco Ferrini e CSB).

La sflilata delle formiche

Indra uccise il drago, un gigantesco asura che se ne stava acquattato sulle montagne sotto l'aspetto informe di un serpente (privo di luce) di nuvole che teneva prigioniere nel suo ventre le acque del cielo. Il dio scagliò la sua folgore nel mezzo di quelle spire difformi; il mostro rovinò come un mucchio di foglie secche. Le acque proruppero libere e calarono in tanti nastri attraverso la terra per circolare ancora una volta nel corpo del mondo. Questo straripamento è lo straripare della vita e appartiene a tutti. È la linfa di campi e foreste, il sangue che scorre nelle vene. Il mostro si era accaparrato il bene comune, ammassando la sua mole egoista e ambiziosa tra cielo e terra, ma ora era morto. Gli umori affluivano nuovamente. Gli asura riparavano negli inferi, gli dèi tornavano alla sommità del monte che sta al centro della terra, per regnare dall'alto. Nel periodo di supremazia del drago le maestose dimore dell'eccelsa città degli dèi erano andate in rovina. Il primo atto di Indra fu di ricostruirle. Tutte le divinità dei cieli lo acclamavano come loro salvatore. Inebriato dal trionfo e dalla consapevolezza della propria forza, Indra convocò Visvakarman, il dio delle arti e dei mestieri, e gli ordinò di erigere un palazzo che fosse consono allo splendore ineguagliabile del re degli dèi. Quel genio prodigioso, Visvakarman, riuscì a costruire in un solo anno una fulgida dimora, meravigliosa nei suoi palazzi e giardini, nei suoi laghi e nelle sue torri. Ma col procedere dei lavori le pretese di Indra si fecero ancora maggiori e le sue visioni sempre più grandiose. Volle altre terrazze e padiglioni, e più laghi, boschetti e giardini. Tutte le volte che arrivava per dare il suo giudizio sull'opera, Indra dava vita a visioni sempre più ardite di meraviglie ancora da costruire. A questo punto il divino artefice, ridotto alla disperazione, decise di chiedere soccorso più in alto. Si sarebbe rivolto al creatore-demiurgo, Brahma, prima incarnazione dello Spirito Universale, che dimora ben al di sopra della travagliata sfera olimpica dell'ambizione, del conflitto e della gloria. Quando Visvakarman si recò in segreto al trono più alto ed espose il suo problema, Brahma confortò il postulante. « Sarai presto sollevato dal tuo fardello » gli disse. « Torna a casa in pace ". Poi, mentre Visvakarman si affrettava a ridiscendere nella città di Indra, Brahma salì a una sfera ancor più alta. Giunse al cospetto di Vishnu l'Essere Supremo, del quale egli stesso, il Creatore, non era che un rappresentante. In beatifico silenzio Vishnu prestò ascolto, e con un semplice cenno del capo lasciò intendere che la richiesta di Visvakarman sarebbe stata esaudita. Il mattino dopo, all'alba, un bambino brahmano che portava il bastone dei pellegrini si presentò al palazzo di Indra e chiese al portiere di annunciare la sua visita al re. Il portiere corse dal suo signore, e il suo signore s'affrettò verso l'entrata per accogliere di persona il fausto ospite. Il fanciullo era esile, aveva circa dieci anni e splendeva con il fulgore della sapienza. Indra lo scorse al centro di un gruppo di bambini che lo contemplavano rapiti. Il fanciullo salutò l'ospite con lo sguardo dolce dei suoi occhi scuri e lucenti. Il re si inchinò dinanzi al santo fanciullo che ridente lo benedì. I due si ritirarono nella sala delle udienze di Indra, dove il dio diede cerimoniosamente il benvenuto al suo ospite con offerte di miele, latte e frutta, e poi disse: « Venerabile fanciullo, dimmi lo scopo della tua visita ". Il bellissimo bambino rispose con una voce profonda e dolce come il lento tuonare di benaugurose nubi cariche di pioggia: « O Re degli Dei, ho udito del magnifico palazzo che stai costruendo e sono venuto a riferirti le domande che si affacciano alla mia mente. Quanti anni ci vorranno per completare questa ricca e vasta dimora? Quali altri prodigi di ingegneria Visvakarman dovrà ancora compiere? “O più alto tra gli dèi, " e i tratti luminosi del fanciullo si mossero a un sorriso appena abbozzato, quasi impercettibile « nessun Indra prima di te è mai riuscito a completare un palazzo quale dovrebbe essere il tuo » . Ebbro del trionfo, il re degli dèi era divertito dalla pretesa di quel semplice fanciullo di conoscere altri lndra vissuti prima di lui. Con un sorriso paterno gli chiese: « Dimmi, Fanciullo, sono così numerosi gli lndra e i Visvakarman che hai visto, o almeno di cui hai sentito parlare? ». Pacatamente l'ospite meraviglioso annuì. « Sì, in verità ne ho visti molti » .La sua voce era calda e dolce come latte appena munto, ma le sue parole fecero correre per le vene di Indra un lento brivido. « Caro figliolo, » continuò il fanciullo « conoscevo tuo padre Kasyapa, il Vecchio Uomo Tartaruga, signore e progenitore di tutte le creature della terra. E conoscevo tuo nonno, Marici, Raggio di Luce Celeste, che era figlio di Brahma. Marici fu generato dal puro spirito di Brahma; sua sola ricchezza e gloria erano la santità e la devozione. Conosco anche Brahma, generato da Vishnu dal calice di loto che esce dall'ombelico di Vishnu e Vishnu stesso, l'Essere Supremo che sostiene Brahma nel suo sforzo creatore, conosco anche lui. « O Re degli Dei, ho conosciuto la tremenda dissoluzione dell'universo. Ho visto tutto perire, sempre di nuovo, alla fine di ogni ciclo. In quel terribile momento ogni singolo atomo si dissolve nelle primordiali, pure acque dell'eternità, dalle quali originariamente tutto è sorto. Ogni cosa allora torna nell'insondabile e selvaggia infinità dell'oceano coperto di tenebre profonde e privo di ogni segno di essere animato. Chi conterà gli universi trascorsi o le creazioni sorte sempre di nuovo dall'abisso senza forma delle vaste acque? Chi enumererà le epoche del mondo che passano, succedendosi l'una all'altra senza fine? E chi scruterà le vaste infinità dello spazio per contare gli universi in esso allineati, ognuno dei quali contiene il suo Brahma, il suo Vishnu, il suo Siva? Chi conterà gli lndra che li abitano, quegli Indra che fianco a fianco regnano contemporaneamente in tutti gli innumerevoli mondi, chi gli Indra che sono scomparsi prima di loro, o anche solo quelli che si succedono in una data linea, salendo uno a uno al trono degli dèi e scomparendo uno dopo l'altro? O Re degli Dei, fra i tuoi servitori vi sono alcuni che sostengono sia possibile contare i granelli di sabbia sulla terra e le gocce di pioggia che cadono dal cielo, ma nessuno potrà mai contare tutti quegli Indra. Questo è ciò che sanno Coloro che sanno.« La vita e il regno di un Indra durano settantuno eoni, e quando ventotto Indra sono spirati, sono trascorsi soltanto un Giorno e una Notte di Brahma. Ma l'esistenza di un Brahma, misurata in Giorni e Notti di Brahma, dura solo cento e otto anni. A un Brahma subentra un altro Brahma; uno sprofonda, un altro sorge; la serie illimitata è incalcolabile. Non c'è fine al numero di quei Brahma -per non parlare degli Indra. « Quanto agli universi che in un qualsiasi momento esistono fianco a fianco, ognuno dei quali contiene un Brahma e un Indra, chi mai può calcolarne il numero? Al di là della più remota immaginazione, affollando lo spazio esterno, gli universi vanno e vengono, come una schiera innumerevole. Come fragili battelli galleggiano sulle acque pure e insondabili che costituiscono il corpo di Vishnu. Da ogni poro di quel corpo esce come una bolla un universo che subito scompare. Vuoi pretendere di contarli? Vuoi forse contare gli dèi in tutti quei mondi, i mondi presenti e quelli passati? ». Una processione di formiche aveva fatto la sua comparsa nella sala durante il discorso del bambino. In assetto militare la tribù sfilò sul pavimento, formando una colonna larga quattro metri. Il fanciullo le notò, si fermò, le guardò, poi d'un tratto scoppiò in una stupefacente risata, ma subito piombò in un silenzio pensoso di profonda meditazione.« Perché ridi ? » balbettò Indra. « Chi sei, essere misterioso, sotto queste ingannevoli spoglie di fanciullo? ». La gola e le labbra di quel re orgoglioso si erano seccate e la voce gli si spezzava continuamente. « Chi sei, Oceano di Virtù, velato dalla nebbia dell'illusione? ». Il magnifico fanciullo riprese a parlare: « Ridevo per le formiche. Il motivo non si può dire. Non chiedermi di svelartelo. Il seme del dolore e il frutto della sapienza sono racchiusi in questo segreto. È il segreto che abbatte come con un'ascia l'albero della vanità mondana, ne recide le radici e ne disperde il fogliame. Questo segreto è una lampada per coloro che brancolano nell'ignoranza. Questo segreto giace sepolto nella sapienza delle varie epoche ed è rivelato raramente perfino ai santi. Questo segreto è l'aria che respirano gli asceti che rinunciano all'esistenza mortale e la trascendono; ma coloro che vivono nel mondo, accecati dal desiderio e dall'orgoglio, ne sono distrutti ». Il fanciullo sorrise e sprofondò nel silenzio. Indra lo guardò, incapace di muoversi. « O Figlio di Brahmano, » lo supplicò ora il re, con nuova ed evidente umiltà « non so chi tu sia. Sembreresti essere la Sapienza Incarnata. Rivelami questo segreto delle epoche, la luce che disperde le tenebre ». A tale richiesta d'insegnamento, il fanciullo schiuse al dio la sapienza nascosta. « Ho visto le formiche, o Indra, che sfilavano in una lunga parata. Ognuna di esse fu un tempo un Indra. Come te, ognuna di esse in virtù di atti pii ascese un tempo al rango di re degli dèi. Ma ora, attraverso molte rinascite, sono tutte ridivenute formiche. Questo esercito è un esercito di antichi Indra.« La devozione e le nobili azioni elevano gli abitanti del mondo al regno glorioso delle dimore celesti, o ai domini più alti di Brahma e Siva e alla sfera suprema di Vishnu ; ma le azioni malvagie li precipitano negli inferi, in abissi di pene e dolori, che comportano la reincarnazione in uccelli e in parassiti, o nel ventre di maiali e animali selvatici, o fra gli alberi, o fra gli insetti. È con le azioni che ci si merita la felicità o il tormento, e si diviene padroni oppure servi. E con le azioni che si assurge al rango di un re o di un brahmano, o di qualche dio, di un Indra o di un Brahma. Ed è ancora con le azioni che si contraggono le malattie, si acquistano bellezza o deformità, o si rinasce come esseri mostruosi. « Questa è la sostanza del segreto. Questa sapienza è la zattera che attraverso l'oceano infernale conduce alla beatitudine. « La vita nel ciclo delle infinite rinascite è come una visione avuta in sogno. Gli dèi in alto, i muti alberi e i sassi sono tutti allo stesso modo apparizioni all'interno di questa fantasia. Ma la Morte amministra la legge del tempo. Comandata dal tempo, la Morte è signora di tutte le cose. Perituri come bolle d'acqua sono il bene e il male degli esseri del sogno. Bene e male si alternano in cicli senza fine. Perciò i sapienti non si attaccano nè all'uno nè all'altro, nè al bene nè al male. I sapienti non sono attaccati a nulla ».Il fanciullo concluse la terribile lezione e guardò tranquillamente il suo ospite. Il re degli dèi, nonostante tutto il suo celeste splendore, si vedeva ora ridotto a qualcosa di insignificante. Nel frattempo un'altra sorprendente apparizione era entrata nella sala. Il nuovo venuto aveva l'aspetto di un eremita. Il suo capo era ricoperto di trecce arruffate, sui fianchi portava una pelle di antilope nera, sulla fronte recava dipinto un segno bianco, la sua testa era riparata da un povero parasole d'erba, e sul petto gli cresceva uno strano ciuffo di peli di forma circolare: sulla circonferenza era intatto, ma al centro pareva che molti peli fossero scomparsi. La santa figura avanzò diritto verso Indra e il fanciullo, si accovacciò a terra fra i due e là rimase, immobile come una roccia. Il regale Indra, ripreso in qualche modo il suo ruolo di ospite, si inchinò e gli rese omaggio, offrendogli latte acido con miele e altri rinfreschi; poi, esitante ma riverente, si informò su come stesse il suo severo ospite e gli diede il benvenuto. Il fanciullo allora si rivolse al sant'uomo, chiedendogli le stesse cose che avrebbe voluto chiedergli Indra. " Da dove vieni, Sant'Uomo? Qual è il tuo nome e cosa ti conduce da queste parti? Dov'è la tua attuale dimora, e qual è il significato del tuo parasole d'erba? Qual è la ragione di quel ciuffo di peli circolare sul tuo petto: perchè è folto alla periferia ma quasi privo di peli al centro? Abbi la bontà o Sant'Uomo, di rispondere in breve a queste domande. Sono ansioso di comprendere » . Il santo vecchio sorrise con pazienza, e lentamente cominciò a rispondere: « Sono un brahmano, il mio nome è Peloso, e sono venuto qui per vedere Indra. Poichè so di avere la vita breve, ho deciso di non possedere una dimora, di non costruirmi una casa, di non sposarmi ne di cercare di procurarmi da vivere. Vivo chiedendo l'elemosina. Per proteggermi dal sole e dalla i pioggia reggo sopra il mio capo questo parasole d'erba. « Quanto al cerchio di peli che ho sul petto, è una fonte di i dolore per i figli del mondo e tuttavia insegna loro la saggezza. A ogni caduta di un Indra, cade un pelo. Per questo al centro tutti i peli sono caduti. Quando sarà trascorsa l'altra metà del periodo assegnato all'attuale Brahma, morirò anch'io. Di conseguenza, o Fanciullo Brahmano, i giorni che mi rimangono sono pochi; a che mi servirebbero dunque una moglie e un figlio, o una casa? " Ogni battito di ciglia del grande Vishnu segna l'estinzione di un Brahma. Ogni cosa al di sotto della sfera di Brahma è priva di consistenza come una nube che prende forma e poi di nuovo si dissolve. Per questo mi dedico esclusivamente a meditare sugli incomparabili piedi di loto dell'altissimo Vishnu. La fede in Vishnu è superiore alla beatitudine della redenzione; perché ogni gioia, anche quella celestiale, è fragile come un sogno e non fa che interferire con la concentrazione della nostra fede in Lui, il Supremo. « Siva, che dona la pace, la più alta guida spirituale, mi ha insegnato questa meravigliosa sapienza. Non aspiro a sperimentare le diverse forme beatifiche di redenzione: condividere le magioni celesti del dio supremo e godere della sua eterna presenza, o essere simile a lui per aspetto e attributi, o divenire parte della sua augusta sostanza, o anche essere completamente assorbito nella sua ineffabile essenza ». All'improvviso il sant'uomo tacque e subito svanì. Era il dio Siva in persona; era tornato alla sua sede oltremondana. Simultaneamente sparì anche il fanciullo brahmano, che era Vishnu Il re rimase solo, sconcertato e meravigliato. Il re, Indra, si mise a riflettere; e gli avvenimenti gli parvero essere stati come un sogno. Ma non provava più alcun desiderio di esaltare il suo splendore celeste nè di continuare la costruzione del suo palazzo. Convocò Visvakarman, lo salutò affabilmente con parole dolci come il miele, lo riempì di gioielli e di doni preziosi e con una sontuosa celebrazione lo congedò. Il re, Indra, ora desiderava la redenzione. Aveva raggiunto la sapienza, e desiderava unicamente essere libero. Affidò l'onore e l'onere della sua carica a suo figlio e iniziò i preparativi per andarsene a vivere da eremita nella foresta. La sua bellissima e appassionata consorte, Saci, rimase sconvolta dal dolore. In lacrime, per il patimento e l'estrema disperazione, Saci si rivolse al sagace sacerdote e consigliere spirituale di Indra, Brhaspati, il Signore della Sapienza Magica. Inchinandosi ai suoi piedi lo implorò di distogliere la mente dello sposo dalla sua crudele risoluzione. L'accorto consigliere degli dèi, che con i suoi incantesimi e stratagemmi aveva aiutato le potenze celesti a strappare il governo dell'universo dalle mani dei loro rivali, i titani, ascoltò attentamente le lamentele della dea, conturbante , e sconsolata, e annuì, comprensivo. Con un sorriso da mago la prese per mano e la condusse alla presenza dello sposo. Poi in qualità di maestro spirituale discettò saggiamente sulle virtù della vita religiosa ma anche su quelle della vita secolare. Diede a entrambe il dovuto e sviluppò il suo tema molto abilmente. Il regale allievo fu persuaso a rinunciare alla sua estrema risoluzione. La regina ridivenne raggiante di gioia. Questo Signore della Sapienza Magica, Brhaspati, un tempo aveva composto un trattato sull'arte del governo per insegnare a Indra come regnare sul mondo. Ora produsse una seconda opera, un trattato sulla politica e gli stratagemmi da usare nell'amore coniugale. Illustrando la dolce arte di rinnovare sempre il corteggiamento e di incatenare la persona amata con legami durevoli, questo libro impagabile stabilì su solide basi la vita coniugale della coppia ricongiunta. Così termina la storia meravigliosa di come il re degli dèi fu umiliato nel suo orgoglio smisurato, fu curato della sua eccessiva ambizione e attraverso una sapienza sia spirituale che mondana fu istruito circa il suo giusto ruolo nel girotondo senza fine della vita. (da Brahmavaivarta Purana)