domenica 19 novembre 2006

Shiva e il Candala

Nell'opera "L'Induismo Vivente", di Jean Herbert, viene riportato il caso emblematico di Nanda, un giovane fuoricasta nato nel XIV sec. nel distretto di Tanjore, il quale, non solo venne riconosciuto come proprio guru dal maestro brahmano del villaggio, ma, giunto a Cidambaram, dove Siva danza eternamente il tandava, venne ammesso nel sancta sanctorum dai 2.999 brahmani (Siva era il 3.000mo) preposti al servizio del tempio e investito del cordone brahmanico da Mahadeva stesso. "Questa è la storia - conclude J. Herbert - del santo paria Nanda, che le genti del paese non smettono tuttora di raccontare e che fa scendere le lacrime dai loro occhi". Celebre è pure l'incontro, in uno stretto vicolo di Kasi, di Sri Sankara con un candala circondato da quattro cani; allorché il grande acarya ingiunse all'intoccabile di andarsene, questi rispose: “comandi di spostarsi a questo corpo fatto di cibo dal tuo corpo fatto di cibo, o alla coscienza ch'è in esso dalla tua coscienza? Fatti di cibo sono entrambi i nostri corpi, non c'è nulla da accettare o rifiutare in essi. Come puoi considerare il tuo più puro del mio? Se invece ti riferisci alla coscienza, essa è una soltanto, priva d'attaccamento, pura, eterna, imperitura, senza distinzioni o differenze. Egualmente si riflette lo splendore del sole nelle purificatrici acque del Gange o in un vaso colmo d'urina; dov'è dunque la differenza tra la coscienza di un brahmano e quella di un candala?". Dopo una pausa di silenzio, Sankara, stupendo il proprio seguito, si prosternò ai piedi dell'intoccabile e proferì le memorabili strofe del Manisapancaka: "In verità io sono il soggetto veggente e non l'oggetto veduto. Chi abbia questa ferma convinzione è mio maestro, sia egli un candala o un bramano, nato due volte". Non appena Sankara ebbe pronunciato tali parole, il candala si trasformò in Siva, signore di Kasi, e i cani nei quattro Veda eterni.

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