mercoledì 1 settembre 2010

L’India che non crede più all’oro

L’India che non crede più all’oro di F. Rampini da Repubblica del 7 marzo 2009

“Viene qui ogni sorta di persona: i poveri, la piccola borghesia, i pensionati. Ci vendono vecchi bracialetti, monili, monete, svuotano le casseforti di casa”. Kapil Kumar Chokshi è uno dei gioiellieri più popolari di Mumbai, proprietario della premiata ditta Chokshi Arvind Jewellers. Come tanti altri orefici indiani è assediato dai clienti che vogliono disfarsi dell’oro che hanno in casa.

Il mondo è di nuovo in preda alla febbre dell’oro: il metallo giallo è tornato ad essere il bene-rifugio per eccellenza. Sui mercati internazionali il suo prezzo si avvicina alla soglia record dei mille dollari l’oncia. Un solo paese fa eccezione. Ed è proprio il più grande mercato del mondo per l’oreficeria. Da anni l’India importa il 90% del suo fabbisogno d’oro: fino a 800 tonnellate l’anno.

Proprio adesso, in solitaria controtendenza, una sterminata massa d’indiani ha deciso di voltare le spalle al suo bene più prezioso. A gennaio – mese di matrimoni e quindi tradizionalmente alta stagione per gli acquisti nelle oreficerie – le importazioni d’oro in India sono crollate a 1,8 tonnellate, contro le 14 tonnellate dello stesso mese nel 2008.

“Ogni giorno – racconta Chokshi – fuori dal negozio si forma dal primo mattino una fila di un centinaio di clienti in paziente attesa. Ma vengono per vendere, non per comprare”. Un miliardo e cento milioni di indiani, di ogni casta e condizione sociale, custodiscono nelle proprie case un tesoro privato unico al mondo. Si calcola che in India l’oro “domestico” rappresenti una montagna da 15.000 tonnellate, uno stock che neppure i leggendari forzieri di Fort Knox potrebbero contenere.

E’ da centinaia di milioni di tesori domestici che è in corso il massiccio deflusso. Una spiegazione sta proprio nella crisi economica. Anche in India il boom perde colpi, il ritmo dello sviluppo rallenta vistosamente. Costrette a stringere la cinghia, le famiglie meno abbienti devono affrontare sacrifici pesanti. Vendere la collana della nonna può essere il modo per continuare a mantenere un ragazzo che fa l’università.

C’è anche una componente speculativa, a rovescia. “Chi vende i gioielli di famiglia – dice il gioielliere di New Delhi Devender Kumar – a volte lo fa perché è convinto che l’oro sia arrivato ai massimi, e presto scenderà. C’è una sfasatura totale rispetto a quel che accade in tutto il resto del mondo”. Vi contribuisce anche la svalutazione della rupia rispetto al dollaro, che accentua il rincaro del metallo giallo.

Continuano a comprare solo quelli che sono “costretti” a farlo: i genitori delle future spose. Una ragazza non può maritarsi se la famiglia non provvede a costituirle una dote adeguata, che luccica al sole. Ma anche gli acquisti pre-nuziali vengono ridimensionati. E l’oro delle doti indiane ora non va più ad alimentare la domanda mondiale: gli orefici locali riciclano, fondendolo e rilavorandolo, tutto l’oro che gli arriva dall’esercito dei venditori.

E’ un caso curioso. Un’intera nazione – e di che dimensioni – si mette a scommettere contro un trend potente che prevale su tutti i mercati mondiali. A New York e a Boston, a Tokyo e a Londra gli hedge funds sono tornati di prepotenza a puntare sui “gold-futures”, i titoli derivati che consentono di speculare in anticipo su ulteriori rialzi del metallo giallo.

In una fase di sfiducia profonda sull’industria e la finanza, di fronte a deficit pubblici in rialzo dappertutto, con tante valute che perdono quota (dall’euro al rublo), i guru dei mercati hanno deciso che l’oro è vincente. Nel frattempo milioni di indiani pensano ostinatamente il contrario.

Forse è troppo fresco nella loro memoria il ricordo del brutale capovolgimento che avvenne un anno fa sulle materie prime. Dal petrolio al riso, dall’acciaio alla soya, si passò in un batter d’occhio dall’iperinflazione alla deflazione. Chissà che l’istinto di massa degli indiani non sia più perspicace di tanti Ph.D. di Harvard che guidano le strategie di Wall Street.

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