sabato 11 agosto 2007

Mediterraneo

Mediterraneo

Un mare dalle dimensioni contenute, una sorta di grande lago."Grande" per fenici e ebrei, "Molto verde" per sumeri ed egizi, "Nostro" per greci e romani. Il Mediterraneo ha avuto tre cantori, Braudel, Attenborough, Matvejevic. Anzi quattro, con Omero e la "sua" Odissea. Come dice lo scrittore bosniaco nel suo Breviario Mediterraneo, "Il più grande romanzo di formazione, la più grande storia dell'individuo che si avventura nel mondo e ritorna a casa ossia a se stesso, e cioè l'Odissea, non è immaginabile senza il mare. Ma quel mare, il Mediterraneo, è anche il grembo della nostra storia, della nostra civiltà".

Predrag Matvejevic, nato a Mostar, uno dei luoghi sanguinosi dei molti conflitti che hanno segnato le terre mediterranee, dice che per conoscere il Mediterraneo non bastano la geografia e la storia occorrono l'immaginazione e l'evocazione. Perché questo mare è il luogo dove popoli e razze per secoli e millenni si sono mescolati, confusi, contrapposti. Somiglianze e differenze, antagonismi e legami ne hanno fatto una sintesi inestricabile. Mare e isole: Creta, Cipro, Lesbo, Rodi, Maiorca. Alcune sembrano navigare, altre paiono impietrite; tutte un po' antropomorfiche: silenziose, stregate, nude, assetate, desiderate, verginali, talora felici. Ma questo mare non si comprende senza le sue coste, costellate, irrorate dalla rete viaria dell'impero romano e dove nacque la più antica democrazia del mondo.

Ma qui viene il suo terzo cantore, Fernand Braudel, il grande storico che della comprensione di questo mare fece una ragione di studio e di vita. Studioso per il quale la "La storia non è altro che una continua serie di interrogativi rivolti al passato in nome dei problemi e delle curiosità - nonché delle inquietudini e delle angosce - del presente che ci circonda e ci assedia".
Ma dove inizia e finisce il Mediterraneo? Gli arabi, che ben lo conoscevano e navigavano, dicevano saggiamente, "dove si estende l'ulivo". Gli abitanti del Mediterraneo non sono mai stati soltanto marinai o soltanto contadini: terra e mare, entrambi insufficienti per campare. Terra e mare quindi, inestricabilmente dipendenti, anche se a parte ulivo, vite e grano, tutte le sue piante arrivano da lontano, molte dall'altro lato dell'oceano.

Il Mediterraneo è mille cose: non un solo paesaggio, ma innumerevoli paesaggi; non un solo mare, ma tutta una serie di mari, non una sola civiltà, ma civiltà sovrapposte una sull'altra. "Il Mediterraneo è un vecchio punto di incrocio; già da migliaia di anni tutto va ad appoggiarsi su di esso sconvolgendo e arricchendo la sua storia…". Un crocevia di cui è difficile cogliere l'essenza profonda. Per Braudel, difficile dargli torto, geografia e storia hanno creato nel Mediterraneo cerniere e frontiere. Fratture, anche geologiche, ma soprattutto storiche: un tempo la frattura andava da nord a sud. Corfù , il canale d'Otranto dividevano l'Oriente dall'Occidente, e qui, ad Azio, Prevesa, Lepanto, Zama ci sono stati gli scontri tra civiltà diverse. Mondo romano contro quello cartaginese, cristiano contro musulmani, ancora romani contro egiziani. Per Braudel lo scontro tra civiltà c'è stato: dalle guerre puniche alle Crociate. Oggi una linea corre da est a ovest, dalle colonne d'Ercole al golfo di Iskurdun: a nord, l'Europa, a sud l'Africa. Ma lo scontro ha prodotto anche sintesi e rimescolamenti. Ad esempio le cerimonie religiose che ancora oggi sovente si tengono per i turisti nei luoghi di mare o di villeggiatura hanno radici lontane nel tempo. Come comuni del Mediterraneo sono gli ex voto alla Vergine Maria, alle Maris Stella a cui per secoli sono stati raccomandati beni e corpi.

Tra il Trecento e il Cinquecento la nervatura delle strade sembra portare a Venezia, emporio, snodo, fulcro, regina per qualche secolo di questo mare. Mare che non originò le prime civiltà. Anzi per millenni è rimasto vuoto e deserto. È stato piuttosto una via di transito per l'ossidiana dell'Anatolia, per le pietre siciliane portate a Malta, per la seta dell'oriente che andava a Venezia.Tutti l'hanno navigato e per il suo controllo si sono combattuti: da Cnosso a Micene, dai fenici ai cartaginesi dall'islam alla cristianità.

Del Mediterraneo oggi si tende a vedere soltanto lo scenario, l'incontro con il mare e le isole, rilievo e vegetazione, una natura sontuosa, generosa, rigogliosa. Ma appena l'uomo allenta la guardia spunta la pietra, la dura roccia, i rovi e i crolli. Dalle penisola Iberica all'Anatolia, i terrazzamenti sono i testimoni di questa lotta incessante.

Mare di migrazioni; e non soltanto di popoli. Il suo quarto cantore, il naturalista David Attenboroug, lo definisce "Il primo paradiso" (titolo di un suo libro e di una serie di trasmissioni televisive). Nasce sei milioni di anni fa quando le cateratte dell'oceano entrano nel bacino forzando la strettoia di Gibilterra. Un'inondazione durata millenni. Singolare storia naturale quella del Mediterraneo. Animali relegati nelle isole, come il Myotragus, il ghiro gigante di Maiorca, l'elefante pigmeo, l'ippopotamo pigmeo, il cervo nano isolati a Malta e in Sicilia, le cui ossa risalgono a soli 8/10 mila anni. E animali dei, come il toro, venerato a Creta e Cnosso, o come scarabei, buoi, sciacalli, egizi. Oppure animali come il cavallo, veicolo dello spreco della guerra. Cavalli e bisonti dipinti a Lascaux e Altamira, dove visse la nostra progenie artistica. E con il canale di Suez, vagheggiato dal faraone Necao II, da Dario, re dei persiani e da Napoleone, scavato, e interratosi più volte, realizzato da Ferdinand-Marie Lessep, console di Francia nel 1869, si apre un varco anche per invasioni di animali marini dalle acque torride del Mar Rosso. Già, il Mediteraneo è storia di stratificazioni e migrazioni.
Ancora nel 1900 era la dolcezza degli inverni a richiamare sulle sue sponde le èlite fortunate e oziose del nord dell'Europa. Oggi l'estate richiama masse che invadono la Côte d'Azur, la riviera romagnola, la costa Brava, le Cicladi…

Dei 350 milioni di persone che vivono in Tunisia, Algeria, Egitto, Turchia, Grecia, Italia, nelle nazioni rivierasche, 135 milioni, più di un terzo si accalca sulle coste. Come può questo mare avere risorse per tutti, trasformato in una gigantesca discarica alimentata dai rifiuti portati dal Nilo, l'Ebro, il Rodano, il Po. Inquinamento fisico ma anche effetto serra, entrambi destinati a peggiorare le condizioni ambientali. Come gli incendi, che si mangiano, ogni anno, 200 mila ettari, o le installazioni nucleari, le petroliere, l'ingorda industria della pesca e 100 milioni di turisti l'anno, ad un tempo risorsa e cavallette devastanti.

Come nel Fedro di Platone: "vivono tra Phasis e le colonne d'Ercole, su una piccola porzione di terra attorno al mare, come formiche o rane attorno al pantano". E domani? Domani auguriamoci che venga ascoltato Matvejevic. In alcune lezioni al Collège de France ha detto: "Il mare che dovrebbe unire è diventato la frontiera…l'Europa non se ne occupa…". Lavoriamo oggi per un'Europa "meno eurocentrica e più aperta al suo 'terzo mondo', più culturale che commerciale".

a cura di G.Boscolo

Viaggio letterario alle origini della civiltà

Il Mediterraneo ha battezzato la nostra civiltà. Sulle sue sponde si sono insediate le prime comunità, hanno avuto luogo le lotte più cruente e si sono moltiplicate le conquiste dell’umanità. La fusione delle culture, la nascita delle religioni e il confronto fra le varie filosofie che hanno segnato lo spirito dei popoli mediterranei sono cresciute negli antichi porti del grande mare. Le idee nuove, partorite da uomini d’ingegno, sono state diffuse dalle imbarcazioni che ne hanno solcato le acque sfidando l’ira dei flutti in una incessante contesa con la natura. E’ da qui, dall’emozione che suscita il contatto con il Mediterraneo, che Predrag Matvejevic, insigne professore al Collège de France e alla Sapienza di Roma, disegna i confini della storia millenaria del mare nostrum. Nel suo Breviario mediterraneo (Garzanti € 14) si susseguono le sintesi fra tradizioni diverse in una costante intreccio di leggende e miti. Si rincorrono le voci e le lingue, che emanano suoni discordanti gli uni dagli altri e tendono a mischiarsi in un mosaico composito e frastagliato. L’autore intesse un dialogo serrato fra le tante anime che si riconoscono nel Mediterraneo: l’arte, la musica e le vicende di intere etnie, magari perse nel tempo, appaiono sullo stesso piano alla luce della comune appartenenza al mare. “Il suo breviario – scrive Claudio Magris nell’introduzione – diviene un libro epico e pieno di pietas per ognuno degli innumerevoli destini che il mare custodisce e seppellisce, come un immenso archivio o come un altrettanto immenso dizionario etimologico”. Sporcata dalla protervia di generazioni vissute in un conflitto perenne, l’immagine del Mediterraneo – ci spiega Matvejevic – “è stata deformata da fanatici tribuni o da esegeti faziosi” ma – prosegue – “i legami interiori hanno cercato di resistere alla divisioni”. Sono proprio questi legami, forti e tenaci, a racchiudere in modo indelebile i tratti giudaico- cristiani dell’Europa. Conservano, inoltre, una ricca serie di segni e di testimonianze che rappresentano le nostre radici.

Fernand Braudel, nel suo celebre saggio Memorie del Mediterraneo studia la lunga epopea del mare soffermandosi, sin dalla prime righe della sua opera, sulla necessità di captarne gli umori più segreti. “La testimonianza più bella sull’immenso passato del Mediterraneo è quella che fornisce il mare stesso. Naturalmente –continua – esso non può spiegare tutto di un passato complesso, ma rimette con pazienza al loro posto le esperienze del passato restituendo a ognuna i primi frutti della sua esistenza”. Risultato di una gestazione lenta e faticosa, il lavoro di Braudel è stato redatto nel 1970. E’ stato pubblicato molti anni dopo ma conserva inalterata tutta la sua freschezza e la sua originalità. Una ulteriore pubblicazione di Braudel, Mediterraneo (Bompiani € 8,20) può essere una valido contributo per arricchire tutte informazioni storiche e culturali che disponiamo sul Mediterraneo. Braudel, infatti, ci insegna a rispettarlo e a studiarlo con la dovuta attenzione.

Avviciniamoci, però, agli eventi che hanno costituito la cronaca degli ultimi anni. Ancora oggi, per i tanti emarginati che guardano all’Europa con la speranza di potersi emancipare, il Mediterraneo è sinonimo di ricchezza ed è la promessa di una vita migliore. Attraversare la striscia di mare che li separa dal benessere è stato per loro, nei primi anni Novanta, un difficile percorso di liberazione. Un cammino che è costato fatica, delusioni e mortificazioni. Ecco, allora, un altro volto del Mediterraneo: è lo spartiacque, come ci ricorda Raffaele Nigro, in Diario mediterraneo (Laterza €14,46) che divide usanze e costumi perché “è un luogo di conflitti e migrazioni. Più saracinesche si sono abbattute sul quel mare, isolando paesi che per troppo tempo hanno sfuggito e cercato al tempo un dialogo”. Le impressioni di Nigro sono arricchite dalla conversazioni, svolte nell’arco di un decennio, con tutti gli interpreti della sensibilità mediterranea.

Una sensibilità che non si limita esclusivamente alla stratificazione culturale nascosta nei fondali del Mediterraneo ma che proietta la sua ombra sulle prospettive economiche e sociali del nostro incerto futuro. E’ necessario, insomma, valutare quali saranno le ipotesi di sviluppo per i paesi bagnati dalle acque del nostro mare. L’Italia, media potenza europea, è al centro del Mediterraneo. La sua posizione l’ha resa una cerniera fra il mondo occidentale e quello orientale e, a maggior ragione, fra il cristianesimo e l’islam. La sua politica estera, dopo la fine della seconda guerra mondiale, è sempre stata orientata a valorizzare il peso del dialogo e del confronto nell’ambito della scelta atlantica adottata all’inizio dell’era repubblicana. Il Mediterraneo nella politica estera italiana del secondo dopoguerra (Il Mulino € 28,50), raccolta di saggi di diplomatici ed esperti militari, dà conto delle linee seguite dalle classi dirigenti italiane nella complessa fase storica della guerra fredda.

Fin ad ora abbiamo valutato, per lo più, la forza di un mito dalle risorse tuttora inesauribili. Il Mediterraneo può essere anche interpretato come una possibilità di crescita, una immensa fonte dalla quale cogliere i mezzi economici del nostro sviluppo. Fino a dove si spingono i suoi confini? Ed ancora: sono davvero così forti le potenzialità che può esprimere? Un dato emerge con una certa chiarezza. Il mare nostrum, considerato la culla imprescindibile della civiltà europea, non rappresenta l’unico mercato dal quale trarre i maggiori vantaggi per le nostre economie. Descritto come un microcosmo invalicabile, oltre il quale si estendeva il nulla, il Mediterraneo è stato via via ricondotto alle sue reali dimensioni: un bacino simile piuttosto ad un vasto lago che ad un mare brulicante di commerci in cui si intensificano attività di rilievo planetario. Oltre lo stretto di Gibilterra, insomma, ferve la vita mentre l’Europa sembra navigare tuttora a vista.

In questo contesto si inserisce la scommessa di garantire al Sud del Mediterraneo un futuro dalle prospettive di sviluppo più rosee. Le opinioni, però, differiscono sulle modalità e sulle opposte strategie che è opportuno mettere in atto. Sono state elaborate molte proposte per dare una risposta alle sue molteplici incongruenze. Alcune contengono visioni idilliache ed affascinanti ma poco legate alla realtà tangibile dei fatti. E’ il caso, ad esempio, de Il pensiero meridiano di Franco Cassano, docente all’Università di Bari. Nel suo volume Cassano interpreta il fenomeno meridionale come uno stringente antagonismo fra l’incipiente modernizzazione e la purezza scevra da condizionamenti esterni che il Meridione. “Pensiero meridiano – spiega Cassano – vuol dire questo: restituire al Sud l’antica dignità”. Cassano aggiunge che “il pensiero meridiano ha il compito di combattere la devastante vendita dell’incanto”. La suggestione è davvero molto alta. La ricetta per risolvere la palese arretratezza del Sud del Mediterraneo è, invece, carente ed illusoria.

A cura di Carlo Roma

L'isola nella formazione culturale dei giovani

Gin Racheli

Sri Lanka Agosto 2007

Dal 2000 la Norvegia si prende carico di far da mediatrice alla guerra infinita tra cingalesi e tamil: nel 2002 Oslo ottiene il risultato di uno storico cessate il fuoco, che, per quanto poco rispettato, regge, almeno sulla carta. L'assistenza di Stati Uniti e Giappone, grazie alla posizione strategica dell'isola, fa sì che il paese non precipiti nella miseria, ma il dramma della guerra ha spezzato intere generazioni. A partire dai bambini, traumatizzati dal conflitto, come parte passiva degli orrori, e attiva quando arruolati da milizie senza scrupolo. La guerra ventennale dello Sri Lanka ha provocato 64mila morti e almeno un milione di sfollati.

È iniziata due giorni fa la settimana di commemorazione per il ventesimo anniversario del primo attentato suicida compiuto da un combattente delle Tigri tamil. Le Tigri per la liberazione del tamil Eelam (Ltte) hanno imbracciato le armi contro il governo di Colombo nel 1983 per ottenere l’indipendenza della parte nordorientale dell’isola, dove prevale l’etnia tamil. Il primo attentato suicida risale al 5 luglio 1987, quando il capitano Miller, al voltante di un camion-bomba, si fece esplodere nella penisola di Jaffna causando la morte di 15 militari.

Da allora, secondo quanto riferito dal sito tamileelamnews.com, 322 combattenti delle Black Tiger, l’unità suicida creata dallo storico leader Velupillai Prabhakaran, sono morti sul campo. Di questi 241 hanno perso la vita in azioni sul mare, gli altri sulla terraferma. In questi venti anni gli attentati dell’Ltte hanno causato la morte di centinaia di persone, per la maggior parte membri dell’esercito. Secondo il sito della Bbc, sarebbero almeno 60mila le vittime totali del conflitto.

Le cerimonie principali per la commemorazione del ventennio si svolgono nella cittadina di Kilinochchi, nella parte nord dell’isola, dove i residenti hanno decorato con ghirlande di fiori i ritratti e le fotografie degli attentatori suicidi.

La violenza degli ultimi mesi

Neppure i “festeggiamenti” però hanno interrotto l’escalation di violenza che negli ultimi mesi ha visto contrapporre ai raid aerei e alle incursione dell’esercito le azioni di guerriglia e gli attacchi a sorpresa dei guerriglieri tamil. Ieri sei soldati hanno perso la vita e altri sette sono rimasti feriti durante uno scontro nella zona di Thoppigala. Secondo fonti Bbc, un portavoce dei ribelli ha dichiarato che i combattimenti sono scoppiati dopo due raid di bombardamenti aerei nella regione, che non hanno causato vittime tra la popolazione civile. Nei giorni scorsi inoltre l’Unicef ha denunciato che nello Sri Lanka continua il dramma dei bambini soldato: secondo l’organizzazione negli ultimi sei mesi le Tigri tamil, che si erano impegnate a rimandare a casa entro la fine dell’anno i combattenti che non hanno ancora raggiunto l’età di leva, avrebbero arruolato circa 130 bambini.

Anche il Karuna, la fazione secessionista dell’Ltte, considerata schierata con l’esercito regolare, avrebbe costretto alle armi 70 bambini. «L’Ltte continua a reclutare ragazzi minori di 18 anni, nonostante l’impegno a non farlo più», ha dichiarato, secondo fonti Agi, Joanna Van Gerpen, capo della missione Unicef in Sri Lanka, «Si è registrata una riduzione dell’impiego dei minori nel conflitto, ma è difficile dire se è reale o se la gente non sporge più denunce perché terrorizzata». A fine maggio erano 1.591 i casi accertati di reclutamento di minori nelle file dell’Ltte, 198 in quelle del Karuna.

L’organizzazione per la tutela dei minori sospetta che le Tigri abbiano imposto alle famiglie delle comunità del nord e dell’est del Paese di contribuire con almeno un combattente. «Il governo ha assunto impegni precisi a indagare su eventuali complicità dei militari con il Karuna nel reclutamento di bambini», ha dichiarato, sempre secondo fonti Agi, Van Gerpen, «Finora però non abbiamo avuto notizie di progressi nelle indagini, e anzi continuiamo ad avere testimonianze di reclutamento di minori».

Secondo le stime delle Nazioni Unite, sarebbero oltre 250.000 i bambini soldato attivi in circa 30 fronti di guerra sparsi su tutto il globo. In Sri Lanka questo fenomeno ha coinvolto Più di 5.600 bambini negli ultimi cinque anni.

Paolo Tosatti 07 luglio 2007