giovedì 9 dicembre 2010

Ginevra, una testimone in Cambogia

Ecco un altro prezioso contributo-testimonianza di Ginevra Boatto, giovane padovana, volontaria in Cambogia, che ci regalerà notizie per descriverci i principali aspetti di quel lontano paese e la sua cronaca del suo vivere a Phnom Penh parte da una terribile disgrazia. Una ragazza in gamba, legata da amicizie a Portoferraio e l'Elba e da oggi impegnata anche col Circolo Pertini, che agisce, con spirito di servizio libero, per dare informazioni utili alla conoscenza.

" Ciao a tutti, sono laureata in Scienze e Tecnologie per i Beni Culturali (cioè chimica, fisica, petrografia, biologia e storia dell'arte, archeologia): mi sono occupata di diagnostica per la conservazione e il restauro. Poi però ho conseguito il dottorato alla facoltà di ingegneria, nell'ambito del reverse engineering (ricostruzione virtuale 3D) dei beni culturali, in particolare di reperti antropologici.

Dopo anni e anni immersa nelle nebbie della Val Padana, tra polverosi laboratori e restrittive regole alla vita notturna, ho lasciato la terra natìa per trasferirmi (momentaneamente) nella perla del sud est asiatico. un'esperienza di vita unica, un bagno nelle acque della pazienza, della spiritualità e dell'accoglienza, tra riso ragni e speculazioni sul senso della vita; ma un legame speciale con l'Elba mi riporterà in Italia a primavera".

Cambogia
Dati amministrativi
Nome completo Regno della Cambogia
Nome ufficiale
Preăh Réachéanachâkr Kâmpŭchea
Lingue ufficiali khmer
Capitale Phnom Penh (2.009.264 ab. / maggio 2009)
Politica
Forma di governo Monarchia parlamentare
Capo di Stato re Norodom Sihamoni
Capo di Governo Hun Sen
Indipendenza dalla Francia, 9 novembre 1953
Ingresso nell'ONU 14 dicembre 1955
Superficie
Totale 181,035 km² (96º)
% delle acque 2,5 %
Popolazione
Totale 14.494.293 ab. (stima 2009) (66º)
Densità 74 ab./km²

Il Regno di Cambogia, In seguito alla caduta del prospero Impero khmer, subì per secoli l'influenza politico-militare dei paesi limitrofi, per poi diventare un protettorato francese nel 1863. Ottenuta l'indipendenza nel 1953, la Cambogia attraversò un periodo di instabilità e guerre con il coinvolgimento nel conflitto vietnamita, il colpo di stato di Lon Nol, il regime di terrore degli Khmer Rossi e l'invasione vietnamita. A seguito delle elezioni del 1993, tenute sotto l'egida dell'ONU, è stata promulgata una nuova Costituzione: la Cambogia è attualmente una monarchia parlamentare indipendente basata su un sistema democratico multipartito.

Diario di un insider a Phnom Penh
Salve a tutti, sono Ginevra, ho 28 anni. Sto svolgendo un periodo di 6 mesi di volontariato a Phnom Penh, in Cambogia, nel cuore del Sud-est asiatico, presso una ONG locale che si occupa di trasparenza nelle attività estrattive nel Paese (petrolio, gas e attività minerarie).

Mi trovo di fronte la possibilità di lavorare in un contesto completamente diverso culturalmente dal nostro e questo è motivo per una continua messa in gioco e scoperta dell’altro, delle differenze e delle somiglianze con le quali tutti i giorni ci si trova a fare i conti. Soprattutto, il fatto di trovarsi all’estero, così “distanti” dal nostro confortante confine europeo, dà l’occasione di poter osservare dall’interno situazioni che altrimenti non sarei mai in grado di interpretare, riguardanti la situazione politico-economica, il contesto sociale.

L’occasione per far emergere alcune considerazioni è ahimè stata offerta da un recente fatto, per la Cambogia più propriamente definibile una tragedia, ossia la morte di più di 300 persone in occasione delle celebrazioni del Water Festival a Phnom Penh.

Tragedia al Water Festival di Phnom Penh. Il Water Festival è una festa che si svolge ogni anno in Cambogia in questo periodo da circa 800 anni per celebrare la fine delle stagione delle piogge. A Phnom Penh in questa occasione viene organizzata una folkloristica gara tra barche sul fiume Tonlè Sap (che nella stagione secca diventa immissario del Mekong), evento che attira in città milioni e milioni di persone da tutta la nazione. La gente che vi partecipa e che si ammassa sulla riva del fiume è prevalentemente di fuori Phnom Penh, dalle varie province della Cambogia, mentre gli abitanti della capitale seguono la gara comodamente seduti in poltrona a casa, guardando la tivù. Il giorno dopo, la città, le rive del fiume sono una distesa di immondizie di tutti i generi, ma posso immaginare con segreto piacere anche la gioia, l’entusiasmo, la foga con cui finalmente una volta all’anno i Cambogiani si permettono di fare festa, di fare tardi e magari di non svegliarsi all’alba l’indomani. Anche per loro forse vale il detto “Semel in anno licet insanire”.

Invece quest’anno qualcosa, il 22 novembre scorso, è andato storto anche se ancora non è stato capito con certezza la causa scatenante la disgrazia. Verrebbe da dire, se fosse una manifestazione, un corteo, che c’è scappato il morto. Purtroppo invece di morti ce ne sono scappati anche troppi. Negli anni scorsi qualche vogatore c’aveva rimesso le penne, annegato nelle apparentemente placide acque del Tonlè Sap. Cosa è cambiato a Phnom Penh dagli anni scorsi?

Sono rientrata dalla mia visita nella provincia di Preah Vihear, lungo il confine settentrionale con la Thailandia, solo martedì pomeriggio, il 23. Nel viaggio di ritorno in autobus, appena la copertura della compagnia telefonica me l’ha concesso, ho iniziato a ricevere messaggi di amici cambogiani, allarmati, temevano per la mia incolumità, ignari del fatto che ero fuori città, allora ho iniziato a focalizzare cosa era successo. A mia volta ho chiamato un po’ di amici che invece in città c’erano rimasti appositamente per vedere il water festival, iniziando così a raccogliere informazioni. Infine, ho discusso con un ragazzo cambogiano seduto vicino a me nell’autobus che aveva da poco letto le notizie on-line. Appena a casa, ho chiamato subito un amico fotografo italiano che in questi giorni è qui operativo a PP (Phonom Penh) . Era in ospedale, a raccogliere foto e testimonianze. Raccontava stordito di file e file di cadaveri, imbustati, ordinatamente numerati, lungo i corridoi. Dice che ci sparavano dentro qualche liquido, una qualche sostanza che rallenta la decomposizione dei corpi… quasi tutti erano cambogiani delle province, i loro corpi devono essere messi in una bara e spediti a casa.

Ho inforcato la bicicletta e sono corsa al ponte dove la tragedia si è consumata. Era inavvicinabile. L’accesso con l’auto era interdetto, consentito solo a chi è ospite del mega complesso Nagaworld, hotel di superlusso con vista sul Tonlè Sap. Ma un gran numero di persone continuava a passare per avvicinarsi il più possibile al ponte, per capire, per dare un ultimo saluto. C’era ancora grande sporcizia, immondizie ovunque. Al ponte, uno dei due che collegano PP con la recente isola artificiale Diamond Island (Koh Pich per i cambogiani).
Altre barricate, non ci si poteva avvicinare oltre i venti metri di distanza. Dalle barricate si vedono corone di fiori, incenso che brucia e ancora altre immondizie, ammassate a vestiti, a scarpe, lasciati dalla grande massa soffocante che lì si riversava per poter vedere il passaggio delle barche. Dalla riva, militari, occupati a tenere la gente distante, tanti cambogiani, in osservazione, muta, a guardare e basta. Qualcuno gesticola e spiega cos’è successo a qualcun altro, incredulo, sperduto. Anche se ufficialmente la causa di una tale tragedia ancora non è stata spiegata, è facile invece individuare qualcosa di fuori posto.

Il ponte su cui si è consumato il tutto è stato costruito nell’ultimo anno e collega per l’appunto la città a Diamond Island, un’isola che è gestita interamente a livello privato. Un’incredibile parco giochi, pieno di negozi di giostre di edifici nuovi dall’aspetto così artificiale, che quasi pare la Villa Adriana, con colonnati e grandi fontane. Ma non è un ponte maestoso (diversamente dall’altro invece di collegamento all’isola), è un ponte su cui ci si passa in 4 moto al massimo. L’hanno costruito poco tempo fa, lo usano, bici e moto e basta fondamentalmente. Fatto sta che lunedì sera erano in migliaia su quel ponte, a sgomitare per vedere le barche passare. “È un ponte fantastico”, mi spiegano i miei colleghi a lavoro, ha un certo fascino per chi viene dalle campagne o dalla foresta, è un ponte che rappresenta il nuovo, l’opportunità, ancora, il nuovo.

Fino all’anno scorso, chi si accalcava sulle sponde del fiume, aveva modo comunque di prender una boccata d’aria, la via di fuga c’era, dato che alle proprie spalle c’era tutta la città aperta nei suoi viali. È stato calcolato che su quel ponte lunedì notte c’erano 10-11 persone per ogni metro quadro. Un “sopravvissuto”, che è riuscito a sottrarsi per tempo al massacro e lavora con alcuni di noi volontari, racconta che la gente era così tanto attaccata e stretta che era difficile percepire quando finiva una persona e quando ne iniziava un’altra. Ha ancora forti dolori mentre respira, ma è vivo, questo basta. Anche lui, come tanti altri, che hanno lasciato testimonianze a caldo ai giornali locali, racconta di un fuggi fuggi, di qualcosa che ha spaventato a morte chi stava sul ponte e che ha messo in fuga tutti.

A distanza di ormai 7 giorni non è ancora stato identificato cosa sia stato a far scappare tutti, cosa abbia seminato il panico tra le persone. Da cosa fuggivano? Qui le interpretazioni sono estremamente varie. I superstiti non sono forse completamente affidabili da questo punto di vista. Sul Phnom Penh Post, stampa locale in lingua inglese (la fonte della CNN), viene riportato che la polizia avrebbe usato dei cannoni ad acqua per disperdere la folla, ma con le luci penzolanti del ponte ci sarebbe così stata una ondata di scariche elettriche che ha fulminato i presenti. Allora così si sarebbe spiegato il fuggi fuggi (cosiddetto “stampede”) per scappare, ma la massa delle persone che spingevano per arrivare al ponte era tale che ha schiacciato chi tentava di mettersi in salvo. Alcuni si sono gettati in acqua, forse sono sopravvissuti? L’acqua è bassissima in questo periodo. Altri avrebbero cercato invece di arrampicarsi sui tiranti del ponte. Qualcun altro invece descrive scene simili a quelle dell’ultima tragica love parade. Parrebbe che sia stato chiuso il gate da una parte del ponte, così la gente che continuava ad entrare dall’altra parte avrebbe schiacciato chi già stava sul ponte, a ridosso del cancello. Altri infine raccontano di aver sentito il ponte crollare sotto i loro piedi. Ma il ponte sta ancora lì. Chi è stato all’ospedale ha visto tanti, tanti corpi schiacciati, ma non ha visto morti fulminati. La polizia d’altro canto si è limitata a negare l’utilizzo di cannoni ad acqua. Ma a questo punto la stessa polizia accusa la sicurezza privata dell’isola di essere ricorsa a metodi di dispersione della folla che hanno fatto degenerare la situazione: questa ha replicato di non avere il poter di far applicare la legge quindi non avrebbe mai potuto agire così.

Il primo ministro Hun Sen ha nominato una commissione apposita per capire la natura dell’incidente, all’interno di un video nel cuore della notte di lunedì, annunciando anche per il 25 novembre una giornata di lutto nazionale.



Un elemento che mi ha colpito positivamente in questa storia è stata la prontezza cambogiana: 700 persone tra defunti e feriti sono state divise tra 5 ospedali in città che sono stati al lavoro a pieno regime e con una organizzazione davvero avanzata. Il governo stanzierà circa 1200 dollari per la famiglia di ogni vittima, inoltre si occuperà del rimpatrio delle salme. Anche organizzazioni internazionali (Oxfam, Caritas, Care, Save the Children in prima linea) contribuiranno provvedendo al vitto dei feriti negli ospedali e delle famiglie dei defunti, che al momento devono svolgere il compito del riconoscimento delle salme. Infine anche il partito dell’opposizione Sam Rainsy Party partecipa agli aiuti nonché un altro grande donor della Cambogia, immancabile anche questa volta, la Cina.

Durante la visita al ponte, ho ricevuto un messaggio dal mio gestore telefonico, con un drammatico messaggio. Semplice. Ma forte. Diceva: “Se non riesci a contattare i tuoi parenti dopo la tragedia, chiama questo numero…”. L’ho letto e ho capito che è tutto reale.

La vita a PP continua, con amarezza, ma forse anche con rassegnazione. Per le strade, ieri sera, ovunque bruciano incensi, impiantati nelle banane, assieme ad altre offerte di cibo, per salutare gli spiriti dei fratelli, morti così improvvisamente e in tanto grande numero. Il rispetto per gli spiriti è molto sentito qui, tanto che alcuni amici cambogiani non hanno voluto dormire soli e ci hanno chiesto ospitalità per timore degli spiriti a giro per la città.

Oggi, a distanza di una settimana, ho partecipato a una round discussion sul tema dell’istruzione, un confronto tra Italia e Cambogia, e ancora è emerso il tema del Water Festival, ancora una volta ragazzi cambogiani ci hanno chiesto “cosa ne pensate di quello che è successo?”. Ogni volta mi sento impreparatissima a rispondere. Mi limito ad esprimere il mio dispiacere per l’accaduto, non ho altro da aggiungere, ma già altre volte mi è successo di sentire controrisposte come “Non ci voleva, abbiamo avuto il regime di Pol Pot.. pensavamo che questo fosse sufficiente…” Ancora una volta tante persone in Cambogia hanno avuto i loro morti in famiglia, tanti a PP dicono “eh sì ho perso un cugino un amico, c’ero ma sono scampato in tempo” mi chiedo se ci sarà la possibilità di avere giustizia, se verranno puniti i responsabili. Oppure forse è solo colpa di un nuovo spazio angusto che ha determinato in maniera inevitabile la tragedia. Inevitabile?