domenica 18 febbraio 2007

L'ultima occasione

L’ultima occasione

Riflessioni che scrivevo circa 10 anni fa. Pezzi di quel tempo che ho ripreso e rimesso insieme, in ordine un po’ sparso, ma che mi paiono emblematici anche del momento che stiamo vivendo; vorrei presentarli così, nella convinzione che questa è davvero l’ultima occasione per il nostro parco; quella creatura che abbiamo visto nascere, per la quale ci siamo spezzati la schiena e che abbiamo visto agonizzare. Purtroppo gli scenari non sono cambiati, le meschine strategie politiche sono sempre lì a fare capolino, la conoscenza dei problemi manca, ma abbiamo ancora la speranza che questa lenta agonia si trasformi indirizzandosi verso la strada della sostenibilità.

Speranza che questi angoli di paradiso mediterraneo vengano salvati dall’omologazione dell’industria turistica e del consumismo, che le eccellenze paesaggistiche divengano vera risorsa: le ultime zone umide (salvate dai porti previsti dal Piano Regionale), le ultime emergenze vegetali, le ultime zone selvagge di questo straordinario mare, le ultime dune. E anche i simboli sono importanti; in questo senso sarebbe significativo l’intervento di abbattimento del famoso fabbricato sulle dune di Lacona. Anche qui affiorano ricordi di fumose riunioni, di accuse ingiuste che abbiamo subito: “quei quattro ambientalisti di Elbaviva fissati con le dune di Lacona”. E’ bene ricordare che quel fabbricato non è abusivo, ma è frutto di una concessione illegittima che in qualche modo fu scoperta; è stato oggetto di un ricorso al Tar pagato dalle associazioni ambientalistiche; è arrivato all’ultimo grado di giudizio presso il Consiglio di Stato che ha dichiarato definitivamente illegittima la concessione; significativamente il sindaco che firmò quelle carte è stato anche commissario del parco e subito dopo l’istituzione del parco si sono rilasciate altre concessioni sulle dune e si sono costruiti altri immobili. Ecco che il parco deve recuperare quella parte di isola; recuperare credibilità nella protezione di un ambiente strategico per la biodiversità del nostro arcipelago.

Isola d’Elba, febbraio 1999

Un'isola tranquilla, "un angolo di paradiso sulla terra, dove ancora si può ascoltare il fruscio della natura”; più o meno recitava così un articolo di stampa comparso su di una rivista nel mese di agosto di qualche anno fa. Ma è proprio questa la realtà dell'Elba?

Almeno ora che l'orda agostana è lontana possiamo dirci le cose con franchezza. Non è così; non è questa la vera immagine estiva dell'isola. Stiamo andando verso decisamente verso la balearizzazione o la rapallizzazione: fenomeni che stanno ad indicare l'utilizzo indiscriminato e poco intelligente delle località turistiche con la distruzione completa del loro ambiente, fonte prima di reddito.

Sempre più frequentemente, specie negli ultimi anni, il turista che sceglie un isola lo fa perchè vuole pace, ambiente, riposo. Cerca il silenzio, il mare e il sole, dopo la frenesia e il caos di un anno in città o delle ruotine giornaliere, non il frastuono e la confusione. Cerca il silenzio della notte, che non deve divenire giorno ma continuare ad essere notte, senza rumori assordanti o potenti luci che squarciano le tenebre. Chi cerca altro, le mega discoteche, il fuori orario, il caos, non potrà mai trovarlo appieno su di un'isola, ed è anche giusto che non trovi tutto ciò, perchè se così fosse avremmo azzerato tutte le potenzialità del nostro essere isole. Sono scelte coraggiose e difficili, che con l’aiuto di amministratori consapevoli e con la presenza strategica di un’area protetta funzionante potremmo fare. Il modello alternativo, quello del divertiemtno ad oltranza ed a tutti i costi sta segnando il passo: si pensi alla riviera adraitica, l'industria del divertimento, dove, nonostante la qualità e la versatilità del prodotto turistico, si rimpiange il passato, quei ritmi lenti della vacanza che ormai la non esistnono più. Quel modello sta divenendo un fenomeno turistico di puro consumo e fine a se stesso, come in una qualsiasi piscina di un qualsiasi hotel, di una qualsiasi località: non possiamo fare altrettanto della nostra isola. A Rimini, anche quest'estate, segnata tra l'altro dalla violenza, si rimpiangono il mare e le spiagge, com'erano un tempo.

Il territorio si va sempre di più omologando, il fenomeno turistico è sempre più di massa e in periodo ristretto. La tranquilità di un tempo delle località di villeggiatura lascia il posto al caos, alla confusione ed allo sporco. Tutto diviene più frenetico, le distnza si riducono perchè il tempo a disposizione è sempre di meno e quindi anche la vacanza diviene scandita da un tempo tiranno. Le corse giornalire dei traghetti si moltiplicano a dismisura, vomitano orde di turisti che vivono (male) per un sologiorno quest'isola per poi rpiartira la sera.

Nel nostro paese, con 8.000 chilometri di coste non siamo mai riusciti ad avere una vera politica del mare, non siamo mai riusciti a sfruttare pienamente tutte le oppurtunità che le realtà del mare e della costa ci offrono. Su queste coste e sulle isole abbiamo riversato tonnellate di cemento, tanto da essere il quarto consumatore al mondo.

Le nostre isole, quelle abitate, hanno il mare, ancora abbastanza in salute, ma assistiamo ad uno scadimento dei servizi, poche infrastrutture a servzio del turismo, un rapporto qualità prezzo che diviene sempre più divergente. Per questo chi ammnistra deve avere un guizzo: ha oggi la grossa responsabiliutà di poter cominciare ad invertire la tendenza. Iniziare da piccole cose, con scelte a volte anche impopolari, ma che alla fine producono effetti postivi e duraturi. Ad esempio intervenire sulle emissioni acustiche dei locali notturni, regolarle in maniera più severa; limitare l'uso della plastica sull'isola. Questo per citare due esempio simbolici che potrebbero evitare la confusione e lo sporco. Poi ci sono interventi ormai non più rinviabili, come il recupero e la depurazione delle risorse idriche.

Ecco che il Parco ha oggi l’ultima occasione per stimolare una nuova visione politica per la gestione di questo territorio. Attraverso la concretezza dell’azione cominciare a far vedere che il tempo delle polemiche di carta è finito, che esso può fare qualcosa di concreto, non solo limitare e vietare. Può contribuire a migliorare la qualità della vita degli abitanti delle isole e degli ospiti.

Dal momento della sua istiuzione, dal primo consiglio dell’ente, dai commenti fatti nei suoi primi mesi di vita, nei primi incontri con le associazioni venatorie e le organizzazioni di categoria emerge chiaramente in leit motiv, un tormentone che verrà ripreso sempre in seguito e ancora oggi viene messo in rilievo: la revisione dei confini del parco. Da dove emerge quest’esigenza così diffusa in tutti, dal presidente ai consiglieri, dalle associazioni ambientaliste alle amministrazioni comunali, che si ritrova nei documenti e nelle delibere dell’ente, nelle indicazioni date all’equipe che sta lavorando al piano del parco e agli altri strumenti di pianificazione?

Questa richiesta coincide con la visione riduttiva e inadeguata del parco come vincolo e quindi più territorio si riesce a sottrarre al parco più liberamente ci si può comportare, soprattutto ai fini edlizi e venatori; ma ogni soggetto che chiede questa cosa la concepisce in maniera diversa dagli altri.

Togliere dal perimetro del parco zone di scarso pregio ambientale e inserire aree rilevanti dal punto di vista naturalistico (questa è una delle enunciazioni di principio condivise da tutti, ma applicabile in maniera diversa in base al soggetto che formula la richiesta) non ha nessun significato nel quadro di una razionale gestione di un’area protetta che è caratterizzata, come nel nostro caso, da piccoli territori insulari e da alcuni tratti di mare circostante. Ha significato per assecondare le esigenze del mondo venatorio e di quello del mattone facile.

I confini attuali del parco, credo sia opportuno ricordare questo particolare che appartiene alla storia del parco ed è scritto nei documenti, sono il risultato della mediazione tra le istanze (ufficiali e ufficiose, spesso rese note attraverso ripetuti pellegrinaggi dei nostri politici tra Firenze e Roma) delle amministrazioni locali, le indicazioni della Regione Toscana, le proposte ministeriali e il quadro tecnico normativo. Dire che questa perimetrazione sia adeguata alle esigenze del territorio e che abbia accontentato la maggioranza del tessuto sociale delle isole sarebbe ovviamente falso. Ma è un dato di fatto che almeno in parte risponde alle richieste avanzate, anche attraverso proposte cartografiche, dalle amministrazioni comunali dell’Arcipelago. Spesso i tentativi di mediazione alla fine non accontentano nessuno. Sulla base della situazione ambientale e socio-economica di queste nostre isole avevo detto e scritto che l’unica perimetrazione possibile e utile sarebbe stata quella di inserire per intero tutto il territorio all’interno del parco, modulando le diverse esigenza terriotoriali, sociali e produttive, come prevede la legge, con il diverso grado di protezione inserito nella zonazione del piano del parco, ma soprattutto attraverso l’utilizzo delle aree contigue. Questo non si è potuto fare allora, ma è un passaggio che si può sempre percorrere. In termini più chiari: si possono tranquillamente fare aggiustamenti in diverse aree delle isole, inserendo e escludendo qualcosa, ma a patto che tutto ciò che rimane escluso dall’area parco vera e propria venga classificato come area contigua. Solo in queso modo sarà possibile utilizzare appieno gli strumenti di promozione economica e sociale di cui le aree protette dispongono, sarà possibile fare un piano del parco omogeneo ed equilibrato su tutto il territorio, sarà possibile trovare la giusta forma di intervento della pressione venatoria, concordando tra i diretti interessati, tempi, modi e forme di prelievo.

Putroppo oggi, dopo alcuni anni, anche se il piano del parco e gli altri strumenti indispensabili debbono ancora vedere la luce e quindi solo allora il parco potrà dispiegare appieno la sua attività, molta della carica propulsiva si è andata esaurendo e molti treni sono partiti. Diventa quindi difficile continuare a sostenere la bontà delle aree contigue e di tutto ciò che concerne un’area protetta se quella area protetta è ingessata dalla burocrazia, dalle lotte ideologiche, e non vi è una strategia di fondo complessiva.

Vi sono alcun questioni che un’area protetta, inserita in un contesto così particolare come il nostro, deve affrontare e tentare di risolvere. Le attività tradizionali, prima di tutto. Due eccezionali opportunità, che permettono di avere un tessuto produttivo ricco di storia e di cultura, vero presidio terriotiriale: la pesca e l’agricoltura. Valorizzare queste attività, introdurre nuovi meccanismi produttivi, innescare processi che sono richiesti e attesi di chi vive e lavora in questi due settori. Il sindacato ha sostenuto attivamente la necessità di trovare fome di collaborazione con queste categorie produttive e di attivare i protocolli d’intesa locali e nazionale per mettere le gambe a quelle che ormai rimangono solo parole, ma ciò oltre alla buona volontà della CGIL, delle rispettive organizzazioni produttive e di pochi altri soggetti, non è stato possibile. Ed era ed è un fattore strategico anche per i confini: gli agricoltori, in un protocollo d’intesa di qualche anno fa, richiedevano a gran voce l’isitutzione delle aree contigue, nella convinzione che le aziende fuori dal perimetro del parco non avrebbero o avrebbero beneficiato solo in parte degli auspicabile e possibili incentivi inseriti nel quadro della valorizzazione delle attività agricole.
Marino Garfagnoli

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